Il colore del melograno di Giuseppe Scelsi
In alcune giornate terse, quelle di tramontana che diradano le nebbie in mare, dalle coste salentine si vedono i monti dell’Albania: tanto è vicina geograficamente questa terra, tanto è sconosciuta nelle vicende storiche e culturali, che pur tuttavia si sono intrecciate con quelle italiane prima e dopo la caduta del regime comunista.
Poco o nulla è arrivato sui banchi di scuola di questa storia di metà Novecento, che ha visto l’esodo di intere famiglie albanesi riversarsi come una fiumana verghiana sulle nostre coste negli anni Ottanta e Novanta: barconi che sulle vicine spiagge di Torre Veneri, San Cataldo, e altre, scaricavano, esausto e disperato, il loro carico umano. Poco o nulla è trapelato delle ragioni di uomini delusi da ideali che avevano alimentato le loro vite e le loro convinzioni. Poco o nulla è arrivato alla nostra sensibilità della tragedia nascosta dietro la fine di regimi ingannevoli e totalitari, che hanno messo in ginocchio interi popoli.
In tutto ciò sta il merito di Giuseppe Scelsi, autore de “Il colore del melograno“, un romanzo che apre le porte alla curiosità verso una patria, l’Albania, della quale siamo non solo dirimpettai, ma anche spettatori inconsapevoli e superficiali delle vicende storiche che l’hanno attraversata. Un lavoro di approfondimento dei sentimenti privati, più che della storia nazionale albanese, ma dai quali si evince lo sfondo storico che ha portato il protagonista, Filip Galimuna, e la sua famiglia sull’orlo dell’autodistruzione e poi dell’abbandono della patria:
… ancora una volta, tutto si era spento, velocemente, di quell’entusiasmo rimaneva l’eco amara di una nuova illusione fattasi fredda, trionfava la vecchia regola del mondo e scherniva dei nuovi entusiasmi ingannati. Filip Galimuna… non portava con sé la speranza di un futuro migliore, lasciava dietro di sé il deserto di sogni infranti, di illusioni sepolte sotto la polvere, di un amore svanito in un’alba fredda e senza suoni.
Questo romanzo è sostanzialmente un inno alla vita, alla riconciliazione con il passato, alla retrospettiva degli errori e alla loro riparazione: il sergente Galimuna, albanese convinto di servire la patria e il suo popolo, ma deluso dagli inganni di una politica di regime senza scrupoli, ripiega nella musica e nel pianoforte:
A quel pianoforte assegnava quotidianamente il compito di individuare al mattino lo spirito della giornata e di commentare a notte l’esito delle ore appena passate, tra l’ammirazione ostentata di alcuni soldati, la commozione di pochi, il disinteresse infine malcelato della gran parte.
Galimuna tenta di ricostituire un’unità familiare messa a dura prova dal tradimento della moglie e dal suicidio del figlio maggiore, e di dare nuovo significato alla seconda chance — giunto in Italia, viene avviato alla carriera di musicista — che la vita gli ha riservato, quella vita che sentiva già spegnersi fra le luci fioche di Tirana e l’ocra sbiadito lasciato sui muri dagli italiani.
La vendetta, a lungo covata verso l’uomo che ha sedotto e abbandonato sua moglie, indotto suo figlio a trafficare droga e a suicidarsi, trova espiazione nei sentimenti familiari, quelli consacrati da una stretta di mano con il figlio minore, una sorta di patto di paternità e di rispetto che non ammette violenza alcuna verso se stessi o gli altri.
Molta la sofferenza che scorre fra le pagine di questo libro, abile l’autore a descriverne i risvolti più amari, nel pianto di Filip Galimuna, che pur essendo un militare, non abdiga mai al suo essere uomo: si dispera Filip, si arrocca dietro la porta di una casa che non riconosce più, ma la sua catarsi sarà anche il suo dolore più grande, l’ultima grande lezione che il figlio maggiore impartisce al padre prima di togliersi la vita; quella lezione che è tanto facile da capire quanto difficile da accettare, ma dopo la quale il protagonista prenderà coscienza di sé, dei suoi errori e delle sue reali possibilità.
L’Albania, con l’alternarsi di partiti, regimi truffa e malcelate dittature dietro maschere di democrazia, diventerà per Galimuna il passato che non si può cancellare, ma dal quale si può imparare: questo sfondo storico diventerà per il lettore un punto di riflessione per comprendere fenomeni politici e vicende personali spesso dimenticate, e per concludere con l’autore, fu per caso che all’improvviso si accorse che la rivoluzione si era fermata, per sempre.