Autore: Thomas Harding
Titolo: Il comandante di Auschwitz
Titolo originale: Hanns and Rudolf
Genere: Biografie e testimonianze
Data prima pubblicazione: 2013 (in Italia nel 2013)
Casa Editrice: Newton Compton
Collana: I volti della storia
334 pagine
Prezzo copertina: 9,90 €
EAN 9788854153790
Il più spietato criminale nazista e un ebreo che lotta per riuscire a catturarlo. Sembra la trama di un thriller ma è una storia vera. Quella raccontata da Thomas Harding nel suo libro Il comandante di Auschwitz. Due vite parallele, messe a confronto capitolo dopo capitolo, che da lontano arrivano a intrecciarsi.
La narrazione di Thomas Harding è diretta e spietata. Al lettore non si risparmia nemmeno un dettaglio delle atrocità commesse durante la guerra. E l’alternarsi di un capitolo dedicato ad Hanns e uno dedicato ad Hoss, fino al loro incontro al capitolo 15, rende il tutto ancor più avvincente. Le recensioni parlano di un libro che ha commosso il mondo, e mi ci metto dentro pure io, anche se credo tutti i libri sulla Shoah siano storie commoventi perché tremendamente reali.
4 anni di guerra, 70 milioni di persone coinvolte, 9 milioni di morti, di cui 1 milione di ebrei solo ad Auschwitz. I numeri della Shoah e della Seconda Guerra Mondiale in generale sono spaventosi. In questo libro, duro e crudelmente reale, Hanns Alexander – un ebreo tedesco rifugiatosi in Gran Bretagna e arruolatosi nell’esercito inglese – decide di dare la caccia ai criminali di guerra che avevano permesso tutto ciò e che erano scomparsi non appena gli Alleati avevano scoperto l’esistenza dei campi di concentramento. Uno dei suoi obiettivi è il comandante Hoss, primo ufficiale nazista di una certa importanza, uno dei pochi se non l’unico ad aver ammesso di aver attuato la “soluzione finale” di Himmler e Hitler e che fu condannato a morte per impiccagione privata all’interno dello stesso campo di cui era stato comandante.
Hanns Alexander
Hanns era il fratello della nonna dell’autore, cioè il suo prozio. Solo durante la cerimonia funebre celebrata nel 2006 Harding scoprì chi era stato veramente quest’uomo, che aveva deciso di diventare un cacciatore di nazisti. E decide di raccontarne la storia, dalla nascita fino alla resa dei conti finale.
Rudolf Hoss
Raccontare l’esperienza di Hanns comporta, ovviamente, anche il racconto di quella del suo “avversario”. Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale Rudolf aveva solo 12 anni, andava alla stazione a vedere i primi gruppi di ragazzi spediti al fronte, era esaltato dalla guerra, ansioso di essere tra loro. Si arruolò nella Croce Rossa come ausiliario e da lì iniziò una carriera militare che lo portò in giro per tutta la Germania e poi ad Auschwitz.
Sono uomini o mostri?
La tragica esperienza dei campi di concentramento e della “soluzione finale” viene descritta attraverso gli stessi pensieri di Hoss.
«Rudolf preferiva una versione più “seria” e “scientifica” dell’antisemitismo, una versione che vedeva gli ebrei come una minaccia allo stile di vita tedesco. Da “fanatico nazionalsocialista” qual era, Rudolf era “fermamente convinto che le nostre idee saranno benvenute in tutti i Paesi, si adatteranno alla natura degli altri popoli e così si porrà fine alla supremazia ebraica”». Con queste parole il comandante di Auschwitz cerca di giustificare, almeno nella sua mente, un comportamento tanto atroce quanto inumano. Dentro di sé è però consapevole della gravità delle sue azioni e dei suoi pensieri, spesso pensa al suicidio e con il senno di poi lo rimpiange.
Dalle analisi psichiatriche condotte su Hoss dopo il suo arresto «si ha l’impressione di un uomo intellettualmente normale ma con un’apatia schizoide, insensibile, e con una mancanza di empatia che difficilmente potrebbe essere più estrema in un vero psicotico».
Il momento dell’arresto di Rudolf Hoss
«Il problema in sé, ovvero lo sterminio del popolo ebraico non era nuovo… è solo che io dovevo portare a termine questo compito, la qual cosa all’invio mi terrorizzò. Ma dopo aver ricevuto l’ordine preciso e diretto, e perfino la spiegazione… non mi restava che eseguirlo».
«Pensavo di essere nel giusto. Stavo obbedendo a degli ordini e adesso, naturalmente, ho capito che era tutto sbagliato e inutile. Ma non capisco cosa intende per “essere turbato” riguardo a queste cose perché personalmente io non ho ucciso nessuno. Io ero solo il direttore del programma di sterminio di Auschwitz. È stato Hitler a ordinarmelo attraverso Himmler ed è stato Eichmann a darmi gli ordini sui trasporti. [Io sono stato solo] un ingranaggio nella mostruosa macchina di distruzione tedesca, un automa che ha obbedito ciecamente agli ordini, uno che aveva percorso una strada molto sbagliata, in tal modo distruggendomi».
Leggere queste parole fa rabbrividire: sentire Hoss definirsi un ingranaggio incapace di ragionare con la sua testa ma capace solo di obbedire a degli ordini, per quanto crudeli e inumani, non è concepibile. La storia lascia sempre, dietro di sé, tante domande senza risposta. Quella che è venuta in mente a me dopo aver letto questo libro è: quanto pericolosa è la mente umana?