12 marzo 2012 Lascia un commento
Una vita tranquilla in fondo quando per lavorare bastava solo turarsi il naso senza sfoderare la pistola, situazioni che fanno il gioco di Ettore Scola che in fondo dei delitti e della polizia non gli fregava molto ma dell’ipocrisia borghese invece si.
Interpretato da un Ugo Tognazzi che proprio in quegli anni stava raggiungendo il massimo dell’autoconsapevolezza e prepara forse a sorpresa il superbo giudice Bonifazi de "In nome del popolo italiano", questo si’ indimenticabile capolavoro di scrittura, regia e recitazione e ammetto che l’assonanza tra i ruoli contribuisce a rendere il lavoro sul personaggio migliore di quanto meriti.
Musiche strepitose di Trovajoli, gradevoli anzi ottimi molti dei comprimari, Tano Cimarosa l’agente, Silvia Dionisio non meno incisiva seppur non riesca a stare vestita, persino Peppe Starnazza nel piccolo ruolo del barbone e’ perfetto, tutti bravi meno Scola.
No, intendiamoci, la regia e’ misurata, di ottima fattura e malgrado non succeda praticamente nulla, non c’e’ un attimo di pausa. Il testo e’ formalmente ottimo, scoppiettante e ficcante ma pregno di stagnante retorica gia’ allora stanca e funzionale esclusivamente ad accontentare la critica militante che non lesina il confettino a chi inveisce contro Chiesa, borghesi e poliziotti, prescindendo l’aver torto o ragione.
Scola nel 1969 ancora si permette di lasciare un alone positivo ad un commissario di polizia, prima della grande demonizzazione delle forze dell’ordine e in attesa d’imperativi ben piu’ seri e gravi che coinvolgeranno le arti tutte belle in fila ed allineate. Certo, tutti i viscidi, i cornuti, le prostitute, i corrotti e corruttori vanno regolarmente alla Santa Messa e ce n’e’ anche per le forze dell’ordine che a detta di Scola, hanno le sorelle e le consorti tutte puttane dal momento in cui "perche’ dovrebbe essere diverso per le mogli dei poliziotti" in tema di donne che si vendono.
Del resto, con una certa ingenuita’, si eleva a grillo saggio un paralitico di guerra odioso anche a se stesso, un frustrato che sputa sulle vetrine di calzature, chissa’ con quale slancio anarchico se non col proprio rancore.
Un film che a ben vedere fa piu’ male che bene alla "causa", confuso e anche un po’ vigliacco nell’accostare Jan Palach a Guevara, nel ripugnate tentativo di confondere vittime e carnefici.
Film ipocrita che si ammanta di critica sociale e intanto spara tette al vento con la scusa dei borghesi perversi e qui il nudo diventa pruriginoso laddove, al contrario della commedia sexy all’italiana, non e’ supportato da motivazioni molto serie come il divertire lo spettatore.
Non a caso e’ un film dimenticato e spiace per Tognazzi ma dimentichiamolo tutti.