Il condor e il lago
6 febbraio 2014 di Pierluigi Camboa
SCUOLA FRANCESE DEL SECOLO XIX. “PAESAGGIO CON BARCA E FIGURE IN UN LAGO”. GRANDE DIPINTO AD OLIO SU TELA
Ai lati di un sentiero di campagna, nella magica selva d’Aveiròne, in un catino scavato lentamente nella roccia dal vento nel corso dei secoli, si era formata una piccola pozza d’acqua limpida, dopo un improvviso temporale, in un torrido pomeriggio di mezza estate. Anche l’acqua era un essere animato, in quella magica selva, e si rattristò vedendosi confinata sola ed immobile in quel budello scavato nella roccia, mentre tutto intorno era un festoso andirivieni di suoni, di colori e di vita: lo scoiattolo a fare capolino dall’incavo del tronco ed a sgattaiolare via per raccogliere e far lentamente rotolare verso la tana un’enorme ghianda saporita, da mettere al riparo per il freddo inverno; il pettirosso a cantare una dolce melodia dall’alto di un olmo e la volpe, furba e sospettosa, a guardarsi circospetta intorno, prima d’inoltrarsi nel folto del bosco… … E la piccola pozza d’acqua, che ormai da due giorni scrutava immobile tutto quel gran brulicare di piccoli esseri in movimento, si convinse che la sua pur giovane vita fosse ormai già del tutto inutile e si rivolse perciò pietosa al sole nascente, chiedendogli di potersi estinguere al calore dei suoi raggi… Ma la lieve brezza del primo mattino trasportò il suo doloroso lamento lontano lontano, fin nel deserto, al punto che il messaggio giunse ad un vecchio condor arroccato sulle montagne di pietra… E l’avvoltoio, colpito da quell’irresistibile richiamo di tanta malinconica dolcezza, dopo anni ed anni riprese a fare un lungo volo e raggiunse la pozza, sulla quale si chinò a dissetarsi… Guardò la straordinaria limpidezza dell’acqua e le disse che, dopo quel suo lunghissimo volo, se non avesse avuto la fortuna di incontrarla, per lui sarebbe stata davvero la fine: ormai da tempo si stava lasciando morire d’inedia e sarebbe morto davvero per la sete; ed ancora: “Mia piccola pozza d’acqua, sappi che hai ridato la vita a questo povero vecchio e stanco essere, scansato e odiato da tutti, che aveva smesso ormai di sperare di poter ritrovare un’emozione”. “Mio caro condor, ti ringrazio per quello che mi hai detto, perché mi hai fatto capire la stupidità del mio desiderio di suicidio, ma non credo di poter fare molto per risolvere la tua solitudine”. “Lo so, piccola mia, la vita mi ha insegnato che quando ti accorgi di essere solo, ma veramente solo, è troppo tardi: hai superato la soglia indefinita della solitudine percepita, una soglia del tutto soggettiva. Uno può sentirsi solo se gli altri si assentano anche solo per due minuti ed un altro, invece, quando torna in compagnia degli altri dopo un viaggio in solitaria. In realtà non si è mai soli completamente, perché c’è sempre il contatto con il mondo, con i meravigliosi fenomeni della natura e tu sei uno dei suoi fenomeni più limpidi e belli… E, allora, cosa vuol dire essere soli? Vuol dire che ci manca qualcosa, o qualcuno, che ci incoraggi, che ci freni, che ci dia stimoli, ci dia consigli… O, per quello che mi riguarda, che ci ami, forse… E vorrei che venissi con me”… “Mio caro condor, mi piacerebbe tanto poter esserti d’aiuto, ma a me non è data la possibilità di muovermi e perciò, sebbene anch’io ne senta la necessità, non potrò mai venire con te”. … A quelle parole, tutti gli animali del bosco si commossero e cominciarono a piangere a dirotto, fino al punto da trasformare la piccola pozzanghera in un lago, del quale, da quel giorno, il vecchio condor assunse il compito di fedele guardiano… Amici miei, se vi capitasse di passare dalle parti del bosco d’Aveiròne, prendete il terzo sentiero a sinistra e, superata la settima quercia e una fitta barriera di felci e di rovi, vi troverete al cospetto di uno spettacolo infinitamente bello: un piccolo lago dall’acqua fresca e limpidissima e, appollaiato su un ramo di mimosa sulla riva, un vecchio condor sorridente che gli rende omaggio e compagnia.