Ah! Il Conte di Montecristo! Alla fine ci riesce, eh? Quel satanasso architetta ogni aspetto della propria vendetta, muove le sue pedine, getta la rete, e quando inizia a stringerla… È fatta!
È uno dei romanzi più letti e tradotti, e non si contano le riduzioni teatrali, cinematografiche, televisive… Ma, un momento! Non è politicamente corretto!
Per fortuna.
Il conte di Montecristo va a Forum
In teoria, sarebbe possibile immaginare che il Conte di Montecristo, diventato ricchissimo, decida di portare davanti alla giustizia i suoi nemici di un tempo… Magari a Forum (ma esiste ancora?), per ottenere un risarcimento rapido rapido. Perché la giustizia dei tribunali non risponde al nome di “lampo di guerra”, vero? E magari dopo aver subito angherie senza numero nelle segrete del castello d’If, uno avrebbe anche un po’ fretta…
No, non credo che sarebbe possibile. Un procuratore del re, un banchiere, non si fanno mettere in un angolo tanto facilmente, nemmeno se il loro avversario può contare su un tesoro smisurato. Bisogna invece essere come loro, diventare come loro, per avvicinarli e colpirli senza pietà.
Soprattutto, occorre riconoscere che quella seccatura che disturba i nostri sogni di correttezza, e che risponde al nome di “realtà”, non solo è troppo invadente. Ma agisce per vie bizzarre.
E qui siamo arrivati al cuore di certe storie.
Spiacente, Disneyland non è la realtà
Parlo delle storie che “funzionano” (quindi vendono), e non lasciano niente. Storie dove la realtà è una gigantesca Las Vegas, o Disneyland, dove ci si deve non solo distrarre (qui non c’è niente di male: Dumas scriveva per quello). Ma ci si spinge a teorizzare, a sostituire la pesantezza dell’essere umano, con una “idea” di essere umano. Eterea. Aerea. La sua complessità viene annullata. Basta pianificare, educare, dirigere. Prima di proseguire: lo so, ognuno legge quello che vuole, eccetera eccetera. E scrive quello che vuole.
Ribadito per l’ennesima volta questo concetto, proseguiamo.
Certe storie (come “Il conte di Montecristo”) viaggiano attraverso le generazioni perché nonostante i difetti (Alexandre Dumas sbaglia gli anni del Conte), prendono gli ingredienti più semplici della realtà, e li combinano sapientemente. Ma prima di tutto: si chinano sulla realtà e senza voler nasconderla, modificarla, ridurla a un’entità leggera e in balia dei venti, la scrivono.
Come Cormac McCarthy; a dimostrazione che pure adesso ci sono autori che guardano la realtà, e la descrivono com’è. Perché scrivere vuol dire raccontare storie.