Il talento è anche un insieme di ingredienti; ma questo è un argomento spinoso, su cui nessuno ha la parola definitiva. Se è vero che tanti sono gli elementi che concorrono a esso, non è una buona notizia, perché se manca uno di questi, si rischia di non approdare da nessuna parte.
Tra i tanti elementi che concorrono a esso, e che sono in grado di produrre una storia efficace e di valore, c’è il contesto. Ne ho accennato in un post qualche giorno fa.
Però siccome mi sembrava un argomento da sviluppare meglio, ho lasciato cadere la faccenda per riprenderla solo oggi. È importante che il buon Carver utilizzi il termine contesto. Spesso l’esordiente parla di quello che circonda il protagonista come se fosse solo uno scenario. Una specie di quinta teatrale che tanto sta sullo sfondo, ma chi diavolo se ne importa? È il tipico modo di affrontare la pagina che non conduce molto distante; spesso non si arriverà nemmeno sulla scrivania di una qualsiasi casa editrice.
Una quinta teatrale sovente ha un senso. Niente è lasciato al caso. Se qualcosa c’è, deve essere vivo e avere peso, colore e spessore.
Torniamo però al contesto. Già il termine suscita qualche perplessità, soprattutto se si è convinti che scrivere è mettere delle parole su un foglio. Che diavolo è un contesto? E in particolare, cosa vuol dire Carver con “il contesto giusto”?
Parto da un concetto terra-terra: non si tratta di fare un elenco delle “cose” presenti in un certo ambiente, ma solo di inserire gli elementi necessari per ottenere una narrazione efficace. Scritto così, è molto affascinante e pure roboante, vero?
Se scrivere è creare una storia capace di ammaliare, questa deve essere inserita in un mondo capace di comunicare. Non solo i protagonisti quindi, ma anche il resto. Quello che si svolge attorno a loro deve essere una sorta di atto, e questo deve comunicare. Se tace, non ci deve essere perché è morto, e i morti devono stare sottoterra, mica bisogna portarli in giro come trofei.
Il contesto non può racchiudere tutto, ma solo una parte. Ma ciascuno dei suoi elementi ha per forza significato e funzione. Magari alleggerire la tensione, distrarre, ma non può stare lì sulla pagina. Come ho scritto in passato, il migliore alleato di chi scrive non è il computer, Twitter o Facebook: ma l’ascia. Quindi tagliare, senza rimpianti.
Adesso chi legge vorrà sapere come riuscire nell’impresa di creare contesti giusti: pure io.
Ci si dimentica che non esiste alcuna ricetta o meglio c’è, ma è del tutto personale (e capita a volte di sbagliare gli ingredienti). E cercare di “rubarla” è inutile e ridicolo.
L’unica sistema che può in qualche modo generare qualcosa di buono, è la lettura. Ci sarà pure un motivo se tutti ripetono: “Leggi leggi leggi”. L’occhio, i sensi tutti si devono abituare a guardare alle parole in una maniera differente.
Non conosco nessuno scultore che sia mai riuscito a scolpire il marmo a suon di chiacchiere. Ma appunto studiando, sbagliando parecchio (all’inizio), e poi trovando il proprio percorso. Leggere gli autori del passato, ma anche contemporanei, e soprattutto rileggendo certi passi o capitoli, senza fretta, sottolineando o ripetendo ad alta voce le frasi, aiuta. Non è solo arricchire il proprio vocabolario; e fa sempre bene.
Alla seconda lettura, appariranno piccole gemme, luccichii, panorami e vertigini meravigliose. Col tempo, senza fretta, si scopre cosa la scrittura può riservare a quanti decidono di seguirla. In bocca al lupo: nn è niente di semplice.