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«Il coraggio degli italiani»

Creato il 02 gennaio 2014 da Malvino

Non vorrei sbagliare, può darsi ch’io ricordi male, ma questa dovrebb’essere la prima volta che per il suo messaggio di fine anno un Presidente della Repubblica adotta una soluzione formale suggestiva come quella della rubrica della posta che ieri sera apriva, dopo un breve cappello introduttivo, il testo letto da Napolitano agli italiani: solo Scalfaro, nel 1997, abbozzò qualcosa del genere, ma si tenne sulle generali, accennando solo alle questioni che gli erano poste da chi gli scriveva, mentre stavolta, invece, insieme a qualche cenno biografico, di «Franco, da Vigevano», di «Serena, da un piccolo centro del catanese», di «Veronica, da Empoli», c’era il milieu, con tanto di guillemets. Ammesso che quelle lettere siano state scritte da persone realmente esistenti – e in questo caso occorrerebbe spendere due paroline sul malvezzo di ometterne i cognomi, neanche si trattasse della Posta del Cuoretenuta da Donna Letizia – occorre riconoscere che si è trattato di un ottimo espediente retorico, perché ha la resa dell’interlocuzione con persone reali piuttosto che con un astratto campione di categorie  sociali, producendo un effetto di notevole tensione empatica, perché una cosa è rivolgersi agli «italiani», come facevano Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat e Leone, un’altra è dire «cari concittadini», com’era solito fare Pertini, ma un’altra ancora – e tutt’altra cosa – è rivolgersi a «Vincenzo, che mi scrive da un piccolo centro industriale delle Marche», o a «Daniela, dalla provincia di Como». Ammesso che quelle lettere siano state scritte da persone realmente esistenti, necessariamente devono aver superato la stessa selezione che premia quelle che arrivano ad essere pubblicate su un giornale: nella forma e nella sostanza, anche quando in apparenza sembrerebbero dover imbarazzare o addirittura irritare il destinatario, devono tornare utili al scopo, che è quello di costruire un interlocutore virtuale di comodo, e tuttavia dotato di quel tanto da non essere del tutto assimilabile alla logica che informa il testo che funge da risposta. In pratica, la «forte denuncia della condizione degli “esodati” mi è stata indirizzata da Marco, della provincia di Torino, che mi chiede di citare nel messaggio di questa sera la gravità di tale questione, in quanto comune a tanti», serve solo a poter aggiungere «lo faccio», costruendo una relazione analoga a quella che c’è tra il dj e il pubblico che segue la sua trasmissione, quando sul piatto gira il disco di cui un radioascoltatore ha fatto richiesta al telefono, in diretta: si tratta di una relazione che presuppone un filtro unidirezionale, attraverso il quale passa solo quanto serve a costruire un interlocutore che corrisponda alla proiezione desiderata.Bene, le lettere di cui Napolitano s’è servito per il testo del suo messaggio di fine anno – non ha molta importanza, ripeto, se le abbia davvero ricevute o se le sia inventate – costruiscono un interlocutore che corrisponde esattamente all’italiano che è chiamato a guardare al nuovo anno «con serenità e con coraggio»: intendo dire che tale disposizione d’animo, per chi si trovi in condizioni analoghe a quelle descritte nelle lettere di cui Napolitano ci ha esposto il contenuto, è possibile solo ad avere una particolare postura etico-estetica dinanzi a gravi difficoltà. E per non farla troppo lunga direi non sia difficile individuarla in un modello di cittadino che non esiste più, se mai è esistito anche fuori dalle pagine dell’Almanacco del Pci. Parlo dell’operaio, dell’impiegato, dello studente, che il Pci aveva irreggimentato in un esercito composto e dignitoso, mai stanco di sacrifici: l’eroica classe dei lavoratori, tanto più degna di andare al governo, quanto più in grado di assumersi la responsabilità in nome di tutto il paese, rinunciando a velleitarismi, a massimalismi e soprattutto a lacerazioni dell’unità nazionale. È da almeno vent’anni che non esiste più, questo popolo, ma vive ancora nel Wille e nella Vorstellung di un vecchio comunista e gli dice che «di sacrifici ne ho fatti molti, e sono disposto a farne ancora», che ha fatto «giuramento di pagare le tasse sempre e comunque» anche se non è lavoratore dipendente ed è di fronte al dilemma «se pagare alcune tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei miei due figli», che nonostante tutto si dice «fiero del mio paese». Qui non si osa mettere in discussione che questo popolo possa anche esistere, ci si chiede solo quanto sia rappresentativo di un’Italia che per un terzo si astiene, vota scheda bianca o nulla e per un altro terzo vota Berlusconi o Grillo. Si tratterà, per caso, della base del cosiddetto «partito del Presidente»?Il messaggio di fine anno dal Quirinale in fondo non è che un genere letterario, dunque credo che il modo più appropriato di commentare quello di ieri sera sia l’analisi formale del testo, che aveva la misura delle 15.430 battute (spazi inclusi), divise in sette sezioni: (a) un breve cappello introduttivo (0-735); (b) il capitolo delle «lettere indirizzatemi ancora di recente», di cui abbiamo fin qui parlato (736-5.010); (c) «il coraggio degli italiani», una sorta di manifesto che intenderebbe dare legittimità di guida del paese al «partito del Presidente»(5.011-6.950); (d) una sezione dedicata a governo, parlamento, opposizioni (6.951-10.417), dove a ciascuno è assegnata una parte in commedia, e guai a non interpretarla a dovere, sennò si è per lo sfascio del paese; (e) una miscellanea di temi vari(10.418-12.531), di quelli che non possono mancare, sicché basta un richiamo di cortesia; (f) un’autodifesa (12.532-14.969)che ha eluso tutti gli addebiti con un «conosco i limiti dei miei poteri» (giocoforza esigeva un po’ di faccia tosta, e non è mancata); e (g) un brevissimo commiato(14.970-15.430), quasi a tagliar corto dopo aver detto il necessario, cioè che Napolitano non si sente re, ma papa. 

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