di Manlio Tummolo. I soliti fanatici dell’autorità, dei poteri forti, dei Governi, si chiederanno che rapporto possa esservi tra il Debito pubblico, Calandrino e gli Italiani. Si potrà chiarire ad essi questo intimo rapporto, dopo l’esposizione della novella decameroniana che, per quanto accorciata, dovrà comunque mantenere nel fiorito linguaggio boccaccesco tutta la sua fresca ironia e tutta la sua efficacia, in modo tale che tale intimo rapporto, a cui si è accennato, possa apparire fresco e palpabile. iniziamo intanto col chiarire chi sia Calandrino, che è presente nel “Decamerone” in tre novelle (la terza dell’ottava giornata, titolata “Calandrino, Bruno e Buffalmacco alla ricerca dell’elitropìa”, la sesta dell’ottava giornata, che è quella che qui esamineremo, “Bruno e Buffalmacco imbolano un porco a Calandrino” e la quinta della nona giornata “Calandrino innamorato”, mentre i suoi “amici” Bruno e Buffalmacco hanno anche l’onore di una quarta novella (la nona dell’ottava giornata “Maestro Simone beffato da Bruno e Buffalmacco”.
Esaminamo sinteticamente il protagonista: Calandrino è il tipico ingenuo, vittima degli imbroglioni e dei furboni: oggi lo paragoneremmo a Fracchia o a Fantozzi, i classici personaggi di Paolo Villaggio. La tipica persona comune che non si immagina mai che gli amici più cari possano ingannarlo o beffarlo, oppure è abbastanza intelligente da rendersene conto, ma il bisogno psicologico dell’amicizia prevale alla fine su qualunque altra considerazione, e preferisce subìre danni e beffe, piuttosto che rimaner solo, il contrario insomma di quello che il noto proverbio insegna: “Meglio soli che male accompagnati”, oppure l’altro: “Dagli amici mi guardi Iddio, ché ai nemici penso io”. Viceversa, i suoi due amici, Bruno e Buffalmacco sono dei furboni, abbastanza sadici sul piano psicologico, che si divertono un mondo a tormentare, deridere e beffeggiare il prossimo, specialmente se ingenuo come Calandrino. Calandrino, contadino e artigiano insieme, è anche sposato con una di quelle mogli terribili, tipiche di chi, pur di non star solo senza una donna, si sposerebbe anche con una strega, che lo comandi a bacchetta e lo terrorizzi, ma nelle novelle non si capisce che cosa gli dia in cambio, se non forse il mantenimento materiale. Infatti, la vera padrona è lei, non lui. Questo episodio sfata quanto si dice del Medioevo, a cui si attribuisce un’oppressione sulla donna che, seppure diffuso, non era poi così generale come supponiamo. E infatti, anche la vita comune dei narratori, nella novella cornice, indica rapporti tutt’altro che dominanti in generale tra uomini e donne.
Ma veniamo ora al testo e prepariamoci a trovare quelle forti analogie a cui sopra accennavo:
“… Chi Calandrino, Bruno e Buffalmacco fossero, non bisogna che io vi mostri, ché assai l’avete di sopra udito [per la novella sull'elitropìa, ovvero la pietra che fa diventare invisibili]… dico che Calandrino aveva un suo poderetto non guari lontano da Firenze, che in dote aveva avuto dalla moglie. Del quale, tra l’altre cose…, n’aveva ogni anno un porco; et per sua usanza sempre colà di dicembre d’andarsene la moglie et egli in villa. E ucciderlo, e quindi farlo salare. Ora avvenne una volta… che non essendo la moglie ben sana, Calandrino andò egli solo ad uccidere il porco. La qual cosa sentendo Bruno e Buffalmacco, e sappiendo che la moglie di lui non v’andava, se n’andarono a un prete loro grandissimo amico [i preti in queste vicende non mancano mai], vicino di Calandrino, a starsi con lui alcun dì. Aveva Calandrino… ucciso il porco, e vedendogli col prete, gli chiamò, e disse: – Voi siate i ben venuti. Io voglio che voi veggiate che massajo io sono.
E menàtigli in casa, mostrò loro questo porco. Videro costoro il porco esser bellissimo, e da Calandrino intesero che per la famiglia sua il voleva salare. A cui Brun disse: – Deh, come tu se’ grosso! Vèndilo, e godiamoci i denari. E a mòglieta dì che ti sia stato imbolato [involato, rubato].
Calandrino disse: – No; ella nol crederebbe, e caccerebbemi fuor di casa. Non v’impacciate, che io nol farei mai.
Le parole furono assai, ma niente montarono. Calandrino gl’invitò a cena cotale alla trista, sì che costoro non vi vollero cenare… Disse Bruno a Buffalmacco: – Vogliamgli imbolare stanotte quel porco?
Disse Buffalmacco: – O come potremo noi?
Disse Bruno: Il come ho io ben veduto, se egli nol muta di là ove egli era testé. Adunque – disse Buffalmacco – facciàmlo; perché nol faremo noi? E poscia cel goderemo qui insieme col domine [il buon prete del villaggio e vicino di Calandrino]. Il prete disse che gli era molto caro. Disse allora Bruno: – Qui si vuole usare un poco d’arte. Tu sai, Buffalmacco, come Calandrino è avaro, e come egli bee volentieri quando altri paga: andiamo, e menianlo alla taverna, e quivi il prete faccia vista di pagare tutto per onorarci, e non lasci pagare a lui nulla. Egli si ciurmerà, e verracci troppo ben fatto poi, per ciò che egli è solo in casa.
Come Brun disse, così fecero. Calandrino, veggendo che il prete non lasciava pagare, si diede in sul bere; e benchè non ne bisognasse troppo, pur si caricò bene… andossi al letto. Buffalmacco e Bruno se n’andarono a cenare col prete; e come cenato ebbero, presi certi argomenti per entrare in casa Calandrino…, là chetamente n’andarono. Ma trovando aperto l’uscio, entrarono dentro; e ispiccato il porco, via a casa del prete nel portarono… Calandrino, essendogli il vino uscito dal capo… come scese giù guardò e non vide il porco suo, e vide l’uscio aperto…; incominciò a fare il romor grande: oisé, dolente sé, che il porco gli era stato imbolato! Bruno e Buffalmacco, levatisi, se n’andarono verso Calandrino, per udir ciò che egli del porco dicesse… quasi piagnendo, chiamati, gli disse: – Oimé, compagni miei, che il porco mio m’è stato imbolato!
Bruno accostatoglisi, pianamente gli disse: – Maraviglia che se’ stato savio una volta! Oimé – disse Calandrino – che io dico daddovero! Così di’ – diceva Bruno – grida forte, fatti ben sentire, sì che egli paja bene che sia stato così.
Calandrino gridava allora più forte, e diceva: – Al corpo di Dio, che io dico daddovero che egli mi è stato imbolato!
E Bruno diceva: – Ben di’, ben di’: e’ si vuol ben dir così; grida forte, fàtti ben sentire, sì che egli paja vero. Disse Calandrino: – Tu mi faresti dar l’anima al nimico! Io dico che tu non mi credi, se io non sia impiccato per la gola, che egli m’è stato imbolato!
Disse allora Bruno: – Deh come dèe poter essere questo? Io il vidi pur ieri costì. Credimi tu far credere che egli sia volato?
Disse Calandrino: – Egli è come ti dico!
Deh – disse Bruno – può egli essere?
Per certo -disse Calandrino – egli è così! Di che io son diserto e non so come io torni a casa: mògliema nol mi crederà; e se ella il mi pur crede, io non avrò uguanno pace con lei! Disse allora Bruno: – Se Dio mi salvi, questo è mal fatto, se vero è; ma tu sai Calandrino, che ieri t’insegnai dir così. Io non vorrei che tu ad un’ora ti facessi beffe di mòglieta, e di noi [come già nella novella dell'elitropìa, Bruno e Buffalmacco recitano la parte degli imbrogliati da Calandrino, per imbrogliarlo meglio].
Calandrino incominciò a gridare…: – Deh perché mi farete disperare, e bestemmiare Iddio e’ Santi e ciò che v’è? Io vi dico che il porco m’è stato imbolato. Disse allora Buffalmacco: – Se egli è pur così. Vuolsi veder via, se noi sappiamo, di riaverlo.
E che via – disse Calandrino – potrem noi trovare? Disse allora Buffalmacco: – Per certo egli non c’è venuto d’India niuno a tòrti il porco: alcuno di questi tuoi vicini dèe essere stato. E per certo, se tu gli potessi ragunare, io so fare l’esperienza del pane e del formaggio. E vederemmo di botto chi l’ha avuto.
Sì – disse Bruno – ben farai con pane e con formaggio a certi gentilotti che ci ha dattorno; ché sono certo che alcun di loro l’ha avuto, e avvederèbbesi del fatto, e non ci vorrebber venire! Com’è dunque da fare? – disse Buffalmacco.
Rispose Bruno: Vorrebbesi fare con belle galle di gengiovo [zenzero] e con bella vernaccia come il pane e il cascio…
Calandrino, che di’? Vogliamlo fare? Disse Calandrino: – Anzi ve ne priego io per l’amor di Dio; ché se io sapessi pur chi l’ha avuto, sì mi parrebbe esser mezzo consolato. Or via – disse Bruno – io sono acconcio d’andare fino a Firenze per quelle cose in tu servizio, se tu mi dài i denari.
Aveva Calandrino forse quaranta soldi, li quali egli li diede. Bruno andatosene a Firenze ad un suo amico speziale, comperò una libbra di belle galle di gengiovo, e fècene far due di quelle del cane [di sterco di cane], le quali egli fece confettare in uno aloè pàtico fresco; poscia fece dar loro le coverte del zucchero [probabilmente miele o qualche derivato, in quanto nel Trecento non era stata ancora scoperta l’America, né si conoscevano la canna da zucchero e neppure l'alternativa della barbabietola], come avevan l’altre, e per non… scambiarle, fece lor fare un certo segnaluzzo, per lo quale egli molto bene le conoscea; e comperato un fiasco d’una buona vernaccia, se ne tornò in villa a Calandrino. E dissegli: – Farai tu che inviti domattina a ber con teco coloro di cui tu hai sospetto. Egli è festa, ciascun verrà volentieri; e io farò stanotte insieme con Buffalmacco la ‘ncantagione sopra le galle, emrecheròlleti domattina a casa. E per tuo amore io stesso le darò. E farò e dirò ciò che fia da dire e da fare.
Calandrino così fece. Ragunata adunque una buona brigata… e fatti stare costoro in cerchio, disse Bruno: – Signori, e’ mi si convien dir la cagione per che voi siete qui… a Calandrino che qui è, fu iernotte tolto un suo bel porco… vi dà a mangiare queste galle una per uno, e bere… chi avuto avrà il porco, non potrà mandar giù la galla, anzi gli parrà più amara che veleno, e sputeralla. E perciò, anzi che questa vergogna gli sia fatta in presenza di tanti, è forse il meglio che quel cotale… in penitenzia il dica al sere [il
prete complice della truffa]…
Ciascun che v’era disse che ne voleva volentier mangiare; per che Bruno… cominciò a dare a ciascun la sua. E come fu per mei [davanti] Calandrino, presa una delle canine [quelle confezionate con sterco di cane] gliele pose in mano. Calandrino prestamente la si gittò in bocca, e cominciò a masticare; ma sì tosto come la lingua sentì l’aloè, così Calandrino, non potendo l’amaritudine sostenere, la sputò fuori. Quivi ciascun guatava nel viso l’un all’altro, per veder chi la sua sputasse. E non avendo Bruno ancora compiuto di darle…, s’udì dir dietro: – Eja, Calandrino che vuol dir questo? Per che prestamente rivolto, disse: – Aspèttati, forse che alcuna altra cosa gliele fece sputare: tènne un’altra.
E presa la seconda, gliela mise in bocca… Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima. Ma pur vergognandosi di sputarla, alquanto masticandola la tenne in bocca; e tenendola, cominciò a gittar le lagrime che parevan nocciuole, sì eran grosse; e ultimamente, non potendo più la gittò fuori come la prima aveva fatto. Buffalmacco faceva dar bere alla brigata, e Bruno. Li quali insieme con gli altri questo vedendo, tutti dissero che per certo Calandrino se lì’ aveva imbolato egli stesso; e furonvene di quegli che aspramente il riprèsono… gl’incominciò Buffalmacco a dire: – Io l’aveva per certo tuttavia che tu l’avevi avuto tu, e a noi volevi mostrare che ti fosse stato imbolato, per non darci una volta bere de’ denari che tu avessi.
Calandrino, il quale ancora non aveva sputata l’amaritudine dello aloè, cominciò a giurare che egli avuto non l’avea. Disse Buffalmacco: – Ma che n’avesti, sozio, alla buona fe’? Avèstine sei?
Calandrino, udendo questo, s’incominciò a disperare. A cui Brun disse: – Intendi sanamente, Calandrino, che egli fu tale nella brigata che con noi mangiò e bevve, che mi disse che tu avevi quinci una giovinetta che tu tenevi a tua posta, e dàvile ciò che tu potevi rimediare; e che egli aveva per certo che tu l’avevi mandato questo porco. Tu sì hai apparato ad esser beffardo! Tu ci menasti una volta giù per lo Mugnone, ricogliendo pietre nere; e quando tu ci avesti messo in galea senza biscotto… e poscia ci volevi far credere che tu l’avessi trovata! E ora similmente ti credi co’ tuoi giuramenti far credere altressì che il porco che tu hai donato ovver venduto ti sia stato imbolato. Noi sì siamo usi alle tue beffe, e conosciamle: tu non ce ne potresti far più! E perciò, a dirti il vero, noi ci abbiamo durata fatica in far l’arte; perché noi intendiamo che tu ci doni due paja di capponi, se non che noi diremo a monna Tessa [la moglie tremenda] ogni cosa.
Calandrino, veduto che creduto non gli era, parendogli avere assai dolore, non volendo anche il riscaldamento della moglie, diede a costoro due paja di capponi. Li quali, avendo essi salato il porco, portàtisene a Firenze, lasciaron Calandrino col danno e le beffe …”
(L’edizione seguita è quella di Curcio, Roma, data non riportata, a cura di Luigi Cùnsolo, pagg. 356 – 359) .
Ora che ho riportato gran parte della novella, salvo alcune abbreviazioni segnate dai puntini, vediamo perché questa novella è un po’ la parabola di tutti gli Stati mediterranei dell’Unione Europea, comunemente definiti PIGS, acronimo che, vedi combinazione, significa anche “porci”. Ognuno di noi sa che, se due privati hanno un rapporto reciproco di debito-credito, questo deve essere risolto e concluso all’interno delle due parti in causa. Ovvero, il debitore, stante un contratto prestabilito, restituirà una certa somma o bene a rate oppure in blocco ad una certa scadenza. Nel Debito Pubblico, viceversa, le cose non stanno così. Il debito pubblico, storicamente, nasce negli Stati medioevali e rinascimentali quando un sovrano, un feudatario o un signorotto, non avendo fonti sicure e regolari di entrata, in caso di guerra oppure di festeggiamenti matrimoniali o celebrazioni varie, si faceva prestare dai grandi banchieri (quella volta gli Italiani, particolarmente senesi, fiorentini, veneziani e genovesi, erano in testa) le somme necessarie per stipendiare le compagnie mercenarie, oppure artisti, uomini di spettacolo, ecc. Fu proprio nel XV secolo che, ad esempio, alcune banche fiorentine ebbero un crollo proprio grazie al fatto che i re di Francia e di Inghilterra, nel corso della Guerra dei Cent’Anni, si rifiutarono di pagare i loro debiti, causando alla città di conseguenza rilevanti danni finanziari. Questa tradizione di debito del sovrano fu poi continuata, perché appariva più comodo chiedere ai cittadini in forme morbide e volontarie denaro in cambio di un certo interesse, che imporre esazioni fiscali pesanti e sgradevoli. Ma, com’è ben noto, il debito finisce comunque per scaricarsi sul comune cittadino in forma di imposte sempre più pesanti e senza aver in cambio adeguati servizi o utilità. Questa prassi è tipica anche dello Stato più moderno, e in Italia, che fino agli anni ’70 era riuscita a tenerlo sotto controllo, con la crisi petrolifera cominciò a crescere in modo assai pericoloso, sia per l’inflazione che imponeva interessi anche fino al 20 %, sia per il fatto che, dovendo attrarre denaro, occorreva proporre interessi ancora più alti. Malgrado le manovre ed i “sacrifici” imposti ogni anno sempre con la promessa di risolvere la crisi, il debito continuò a crescere spaventosamente fino a diventare materialmente non solubile. Nondimeno, tale debito, fino all’inizio degli anni ’90, rimase un fatto prevalentemente interno (come tuttora è in Giappone), finché quel genio dell’alta finanza ex-socialista craxiano di nome Giuliano Amato non cominciò ad esportarlo all’estero con quelle belle gare, rese celebri nell’estate scorsa e con il più celebre ancora “spread”, sul quale non fa conto qui parlare, visto che ne parlano sempre i mezzi d’informazione. La creazione dell’euro, riducendo drasticamente la percentuale inflattiva e con il diverso trattamento tra stipendi e prezzi o tariffe, ridusse quasi al 50 % gli interessi del debito, ma questo successo si realizzò, ancora una volta, a spese dei normali contribuenti italiani, i quali inoltre, col solito pretesto che “dovevamo entrare in Europa”, dovettero altresì caricarsi di tasse, imposte, gabelle e tickets per ottenere il brillante risultato.
Ora, perché la novella di Calandrino può esser considerata la parabola della vicenda finanziaria italiana e dei PIGS in generale? Vediamo le analogie. Come detto, il debito è un rapporto obbligatorio fra creditore e debitore, nei termini fissati dal comune contratto. Qui invece succede che tale rapporto diventi oneroso, non fra le due parti (governo che emette titoli e gli investitori che li acquistano per proprio vantaggio), ma tra i terzi (cittadini che non hanno investito alcun denaro e nulla ci guadagnano, ma ne hanno una secca perdita) e il governo, il quale paga col denaro altrui i propri debiti. Non solo, ma poi il governo recita la manfrina per cui ogni cittadino, compresi i lattanti, diventa debitore verso questi investitori. Viene addirittura colpevolizzato rispetto alle future generazioni e gli si dice che non deve lasciare un debito così alto, come se questo debito fosse stato stipulato o contratto dal singolo cittadino, che magari non ha mai visto in vita sua un BOT, un CCT, un BTP, ecc., e non piuttosto ai medesimi governanti che concionano .
Ecco, dunque, l’analogia tra Calandrino e il popolo italiano (o dei PIGS). Come Calandrino viene beffato a ripetizione, per cui gli si ruba il porco (ovvero la ricchezza nazionale) per usi illegittimi, si pretende di far credere ai contribuenti che è stato proprio il comune cittadino a rubare il ”porco” o, come dicono furbescamente, “a vivere al di sopra delle proprie possibilità”, anche se ha lavorato interamente per tutta la vita, sempre sacrificandosi, spesso ammalandosi sul lavoro o, addirittura, morendo sul lavoro; non solo, ma che vuole anche fare il furbo andando in pensione troppo presto, o evadendo il fisco, che – di passaggio – è esoso sia per quantità, sia per modalità, sia soprattutto per il pessimo uso di tale denaro. I vari Bruni e Buffalmacchi della politica, dell’alta finanza e del fisco, obietterebbero a questo punto che il debito pubblico è pagaro da tutti perché concerne il pubblico interesse, per i servizi utili alla vita del cittadino, ecc. Ora questo è vero, solo parzialmente, all’inizio del processo, ma non nel suo pieno sviluppo, in quanto il debito stesso, instauratosi con quella modalità, nutre se stesso e pur avendo la fiscalità generale saldato tutte le spese necessarie per uno Stato, nondimeno si deve pagare molto di più ed ulteriormente per soddisfare le esigenze degli investitori, i quali – per essere esatti – vanno distinti in tre categorie fondamentali: i semplici risparmiatori, i quali hanno investito in pubblici titoli per avere un certo interesse e per la sicurezza del guadagno; gli speculatori, i quali traggono, manovrando ingenti quantità di titoli, un lauto lucro; ed infine gli aggiotatori che, a loro volta, facendo circolare notizie tendenziose e manovrando al contempo anch’essi ingenti quantità di titoli, riescono non solo a guadagnare lautamente come i secondi, ma anche a mandare in
fallimento interi Stati.
Se “monna Tessa”, la moglie di Calandrino, può essere il simbolo del governo germanico nella deliziosa persona della signora Angela Merkel, che impone le sue leggi punitive ai PIGS, anche della Commissione Europea, e della Banca Comunitaria Europea che ne segue le direttive (non a caso si trova a Francoforte sul Meno), Bruno e Buffalmacco, col prete (che potrebbe rappresentare il nostro presidente della Repubblica sempre disposto alle prediche), rappresentano evidentemente l’alta finanza ed i potentati politici, i quali, non bastando loro di aver rubato il “porco” (ovvero, la ricchezza nazionale), non bastando di infliggere le spese minori (quelle dell’acquisto delle galle di zenzero), infliggono pure le spese per interessi (le due paia di capponi per tacitare la cosa). Le galle o “bomboloni” con sterco di cane ed aloè sono le manovre “lacrime e sangue” che devono essere ingoiate, pure ringraziandole come“salvezza della Patria e dell’economia”, Infine, i grandi opinionisti della pubblica informazione, delle accademie universitarie, ecc. sono ben rappresentati dai vicini di Calandrino, sdegnati da quella che dicono o credono “truffa” da parte di Calandrino.
In Grecia hanno imbrogliato le carte non i comuni cittadini ellenici, ma i politici e l’alta finanza, pur di entrare a far parte dell’euro; nondimeno, chi deve pagare il conto falsificato, è il comune cittadino, che magari si è sempre spaccato in quattro per mantenere decorosamente la propria famiglia. Lo stesso dicasi per italiani e spagnoli, o altri Paesi assimilati a questi. Non fu il comune cittadino ad indebitarsi, anzi, è dal 1974, anno in cui cominciarono a sentirsi gli effetti enormi dell’aumento esponenziale del prezzo del petrolio e prodotti derivati, che i vari Governi alternarono misure di incremento della tassazione all’emissione crescente di titoli pubblici, con interessi stratosferici. Lo fecero senza certo chiederci il permesso: infatti, l’art. 75 c. 2 della Costituzione vieta qualunque referendum su fatti di politica estera ed economica, essendo il popolo italiano considerato un popolo di grulloni, di “Calandrini”, buoni soltanto ad essere truffati e non in grado di decidere in modo alcuno, neppure con quorum speciali, sul loro futuro economico e di politica estera. I cittadini italiani non sono né responsabili, né corresponsabili dell’attuale Debito Pubblico che dovrebbe essere pagato, viceversa, dalle parti in causa, ovvero i governanti che lo accrebbero senza misura e quegli speculatori ed aggiotatori che ne ricavarono lucri impressionanti. Se sentiamo dire che 10 persone hanno il guadagno di 3 milioni di altre persone, significa che, in media, ciascuno di loro ricava ben 300.000 volte il comune contribuente o lavoratore, il che non è dovuto né a particolare genialità, né ad alti meriti, perché non vi è alcuna proporzione naturale ed accettabile tra una cosa e l’altra. La differenza è dovuta esclusivamente al fatto che la ricchezza comune ha avuto i suoi leoni, che si prendono quasi tutto, e gli altri che devono prendersi soltanto le briciole, ed ancora sentirsi dire, per soprammercato, che “vivono al di sopra delle proprie possibilità”.
Ora, per concludere questo tragicomico discorso, mi chiedo: fin quando i popoli PIGS, i contribuenti italiani, greci, spagnoli, portoghesi, ecc. continueranno a farsi trattare da “Calandrini”? Per dirla col Manzoni, “Ai posteri l’ardua sentenza”!
Cortesia dell’autore e di Massimo Prati di Volando Controvento.
Featured image I giovani protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool.
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