Il Delitto della Piccina testimonia, ancora una volta, il fenomeno della migrazione verso l’Italia di alcuni affermati uomini di cinema. Questo è il caso anche di Adelardo Fernández Arias, regista spagnolo che si trasferì nel nostro paese dal 1915. Per la prima volta dall’inizio della rassegna vediamo la Frascaroli protagonista in un lungometraggio (se così si può chiamare vista la durata di 40′). Il film è stato proiettato per la prima volta ad un pubblico in sala durante il Cinema Ritrovato. Il film venne infatti censurato all’epoca e si è salvato miracolosamente mantenendosi per altro in condizioni straordinarie negli archivi del CSC. Non essendoci locandine l’immagine scelta proviene proprio dal loro sito.
La Piccina (Valentina Frascaroli) è la più piccola operaia della fabbrica gestita dai fratelli Marco, sempre disponibile con i suoi dipendenti, e il capo del personale Andrea, uomo dall’animo corrotto che ha messo gli occhi su La Piccina. Visto che la ragazza non accetta le sue attenzioni, Andrea la licenzia. Nel tentativo di riavere il lavoro la ragazza si reca di notte dal padrone, che tenta di violentarla. La Piccina, dopo aver ricevuto la pistola da un suo amico operaio (di cui non ricordo il nome), lo uccide per poi chiudersi nel silenzio più assoluto. Al termine del processo viene però assolta a seguito della testimonianza del suo amico. La ragazza sposa Marco con cui mette su una famiglia. Anni dopo la fabbrica è colpita dagli scioperi. Sale l’inflazione e la popolazione è sempre più povera. La Piccina parla durante una manifestazione e convince gli operai che solo tornando al lavoro si può superare la povertà. Seguono scenette atte a confermarlo, come quella in cui l’amico operaio racconta come una sua nipotina fosse morta dopo che l’autista del taxi e del carro gli avevano negato un passaggio dal medico per via dello sciopero. Gli operai si convincono e magicamente l’inflazione diminuisce drasticamente e il tenore di vita si alza.
Il film si divide in due parti che sembrano decisamnete distinte tra loro. La seconda sembra infatti aggiunta dopo a seguito del periodo di grandi rivolte che era in atto in quel periodo, noto come il biennio rosso. Sembra quasi che la produzione volesse convincere attraverso il film i lavoratori a tornare in fabbrica. Per quanto riguarda la prima parte non è difficile capire il perché della censura: prima di tutto per il tentativo stupro nei confronti di una ragazza minorenne, in seguito probabilmente anche per il finale, dove la Frascaroli e il suo amico operaio vengono clamorosamente assolti dalla giuria. Un finale che, tra l’altro, si discostava decisamente dallo schema tipico del melodramma italiano. In ogni caso, esclusa la parte finale, che è talmente anti-operaia da risultare ridicola, il film è decisamente apprezzabile, specie perché abbiamo finalmente la possibilità di vedere una lunga interpretazione della Frascaroli alle prese con un ruolo drammatico.