Magazine Religione
Il primo sabato c'erano circa quattrocento ragazzi delle scuole medie, il secondo i ragazzi delle scuole superiori erano, approssimativamente, duecentocinquanta. ll titolo dei due incontri: “I miei genitori sono degli Ufo".
Sono arrivati preparati, i loro animatori mi avevano precedentemente inviato centinaia di domande - rigorosamente anonime- sull'argomento genitori-figli, domande scritte dai ragazzi direttamente, alle quali avrei dovuto dare una qualche "risposta".
Quelli delle medie hanno chiesto di tutto, persino «perché il mio papà è un brontosauro?». Ma in modo particolare alcune domande ritornavano continuamente, riguardavano la loro identità di figli accolti, o accolti-con-riserva: «Se io facessi qualcosa di sbagliato, i miei genitori mi amerebbero lo stesso?»; «Come posso essere il figlio che desiderano?»; «Perché sono nervosi e se la prendono con me?» «Perché mi mandano a Messa se loro non vengono con me?».
Un filo rosso, mi pare, legava tra loro la maggior parte delle questioni: ansia da prestazione. La prestazione che questi figli sentivano di dover offrire ai loro genitori, era di rispondere alle loro aspettative. Mi tornavano in mente le parole del sociologo Zigmunt Bauman che parla dei figli che oggi, troppo spesso, sono una «risposta ai desideri emotivi dei genitori». Un processo, non cosciente di solito, che però riscontro essere il substrato, il presupposto non dichiarato, delle relazioni genitori-figli.
Le domande dei ragazzi delle scuole superiori erano delle vere e proprie bombe a mano. «Perché vi siete sposati se poi vi siete lasciati?»; «Perché la vostra felicità deve essere più importante della mia?»; «Perché litigate sempre?»; «Mamma, perché non ami più papà?»; «Perché vi dite le bugie?»; «Perché non potete continuare a stare insieme?»; «Perché siete sempre nervosi?»; «Vi amate ancora o fate solo finta per me?»; «Papà, perché mi telefoni solo una volta al mese?». Insieme anche a «Grazie per quello che fate per me»; «Vi voglio bene»; «Scusate se vi deludo» (ancora tanta ansia da prestazione); c'erano tante richieste di sapere «Come vi siete conosciuti?»; «Come é stato il vostro fidanzamento?». ll filo rosso delle domande era costituito, anche qui, dal timore di non essere all'altezza delle aspettative dei genitori, ma soprattutto dalla cosiddetta "domanda sull'amore". Voglio dire che è emerso un bisogno primario da parte dei figli di sapere la "storia sacra" dell'amore dei genitori. Conoscerne l'inizio che, simbolicamente, è anche quello del loro esistere. lndipendentemente da come siano andate poi le cose, per i figli è essenziale sentirsi narrare del "principio', sapersi confermati che, comunque, all'origine del loro esistere c'é stato il risvegliarsi dell'amore.
Ai genitori degli adolescenti che ho incontrato sempre a ottobre, per il ciclo di incontri non a caso chiamati "Genitori sull'orlo di una crisi di nervi", ho consegnato, tra le altre cose, il dovere della narrazione, che è un tutt’uno con la sete di radici dei figli. L'altra consegna è stata la speranza. I figli, in relazione alla domanda sull'amore, chiedevano tutti la stessa cosa: datemi speranza. Speranza che, anche se per voi il rapporto si è rotto, non si è rotto però un modo umano di relazionarvi, di essere ancora, seppur differentemente, famiglia. E speranza che chi ha ancora i genitori insieme possa vedere, nella loro relazione, la tenerezza e le attenzioni di due che si amano ancora. Questa speranza è un tutt'uno con il progetto di vita: i figli lasciavano emergere la necessità di credere che per loro, come per i loro genitori, nonostante i loro genitori, ci sia la possibilità di credere all'amore per sempre.
Non togliamogli questa speranza che è, in fondo, l'unica necessaria.
Roberta Vinerba
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