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Il destino dello scribacchino

Creato il 26 settembre 2013 da Cultura Salentina

26 settembre 2013 di Redazione

di Mina Borrelli

Il destino dello scribacchino

Karl Pavlovich: Ritratto del conte Perovsky (lo scrittore Anton Pogorelsky) – olio su tela, 136×104, The State Hermitage Museum

Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice “IO DEVO” questa grave domanda, allora costruisce la sua vita secondo questa necessità. (…) Un’opera d’arte è buona se nasce da necessità. (…) Guardi dentro di sé, esplori le profondità da cui scaturisce la sua vita.
Rainer Maria Rilke da ”Lettere a un giovane poeta”

Quella domanda iniziale, proposta da Rainer Maria Rilke, ha il sapore di una domanda “esistenziale”.  Chi ama raccontare e raccontarsi, sa cosa vuol dire scrivere con la luce che è fuori e con il buio che ha dentro, sa cosa vuol dire convivere con la necessità di fare voli pindarici dal quotidiano. Spesso, nel corso della giornata, la scrittura viene a cercare persone pronte a farsi conquistare e rapire dal suo richiamo… e chi l’accoglie, nonostante le riserve, sa che quel dolce atto non è solo un fatto d’amore… ma l’energia vitale che smuove l’esistenza stessa.

Giorni in cui un foglio chiede di raccontare una storia. Allora si impugna una penna ed inizia così una danza di parole che si inseguono nei cunicoli della mente e si lasciano catturare.

A volte penso che la scrittura sia precedente persino alla parola. Ecco, perché chi è “contagiato” dal vizio di scrivere si sente “cercato” da questo “mestiere”. Chi si veste di parole, conosce il costo emotivo di queste lettere danzanti che volteggiano al ritmo di un bisogno intimo e urgente di consegnare a nuova vita il proprio sentire, in un candido scenario di forze latenti che si scatenano e danno alla luce un nuovo, inedito orizzonte di senso.

Chi si veste di parole è Uno, nessuno centomila… un piccolo attore trasformista, 
in costante attesa di cambiarsi d’abito per andare incontro ad aspirazioni,attese , a sogni di tutti e di ciascuno…a parole che, sulla scia dello scroscio d’energia emotiva, si affacciano alla mente con discrezione e chiedono di emergere, di trasformarsi in storie e di essere raccontate.

E cosa possono fare gli scribacchini ebbri di emozioni se non assecondare con delicatezza e dar voce a queste parole… che domandano solo di non restare imbrigliate nei limitanti meandri della razionalità… ma di fluttuare nell’aria fino a posarsi candidamente sul foglio bianco, immacolato, pronto ad accoglierle. Il tempo di una frase…quanto basta per sciogliere il bavaglio della mente e del cuore e donarla a chi è in grado di accoglierla come un dono prezioso, come una carezza sugli occhi e fra le mani.

E, dunque, destino dello scribacchino è di riempire fogli, che un giorno qualcuno forse leggerà, sviscerandone il senso, quasi violando l’intricata mente di quella donna o uomo la cui penna fu un vizio.


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