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Il dialogo è il volto della storia

Da Marcofre

Il dialogo è il volto della storia

Il segreto per costruire dei buoni dialoghi è manipolarli. Non credo che esista altra soluzione, e con questo sembrerebbe di essere già arrivati al capolinea. Sì, insomma: che altro aggiungere?
La faccenda invece richiede un surplus di indagine (come scrivono quelli bravi), perché se esiste un argomento che attira la gente è proprio il dialogo.

Perché il dialogo è importante?

Già, per quale motivo è importante? O forse sarebbe meglio dire: perché è diventato importante? Se butto un’occhiata al Don Chisciotte… Certo, i dialoghi ci sono, ma non sono da usare come esempio, da coloro che nel XXI secolo desiderano essere presi in considerazione da qualche lettore.
Il tempo passa, la Terra gira, i capelli imbiancano… Insomma, tutto scorre e quindi per forza di cose la letteratura cambia. Il dialogo è diventato un elemento importante per giudicare la qualità di una storia. No, anzi: è un elemento importante per comprendere se chi scrive si immerge nella storia, oppure sale sul piedistallo e pontifica.
Certo, l’incipit, la sinossi, eccetera… La mia impressione è che si possono perdonare tante cose: anche un inizio zoppicante (basta riscriverlo), ma non dei dialoghi fasulli. Quando si incappa in qualcosa che non sta né in cielo né in terra, significa che non ci siamo proprio. Che il proprio sguardo è ancora concentrato sull’ombelico.

Imparare ad ascoltare

Perché è così grave il dialogo fasullo? Immagino che riveli qualcosa della natura di chi scrive. In sostanza, uno dei requisiti per scrivere dei dialoghi decenti è saper ascoltare. Tacere, insomma. E qui temo che per molti sarebbe come una rivoluzione copernicana. Dovrebbero cioè accettare di non essere più il centro dell’universo, ma solo uno dei tanti che si muovono nell’universo, forse con un dono. La faccenda dell’ascolto: credo che non sia quasi mai affrontata. Sì, certo: i corsi di scrittura insegnano magari cosa NON fare, e di certo questo è utile. Quello che dovrebbero spiegare, e magari insegnare (temo che sia difficile), è la difficile arte dell’ascolto.
Non solo si finisce coll’imparare qualcosa (e questo non fa mai male). Ma si apprende anche che raccontare una storia è soprattutto dire come stanno le cose. E a questo punto qualcuno che legge queste righe potrebbe dire:

All’inizio hai scritto che occorre manipolare per costruire dei buoni dialoghi. E adesso affermi qualcosa di completamente diverso: deciditi!”.


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