L’arte è bellezza, e tutte le cose belle prima o poi finiscono. Eccoci all’ultima puntata della rubrica, quasi una sintesi di tutto il discorso. L’opera presentata non è necessariamente un capolavoro, anzi tende un filino al kitsch, ma ha un suo perché.
Si tratta di Giasone e Medea (1865) di Gustave Moreau, e come in molte opere del maestro del Simbolismo, di “diavoli nei dettagli” ce n’è non uno, ma a montagne.
A cominciare dai protagonisti, che anziché eroi – o antieroi – greci sembrano i Nibelunghi. Del resto, proprio nell’Ottocento prende piede in Europa e America quella “mania celtica” che avrà esiti non sempre simpatici. Qui inoltre si sovrappone un motivo che anticipa Freud, perché il pugnale e il perizoma di Giasone sembrano suggerire un complesso di castrazione.
Quanto al drago che difendeva il Vello d’oro, ha una testa d’aquila, e fin qui può rientrare nella tradizione; ma si tratta di un’aquila americana dalla testa bianca, e questa è senz’altro una novità iconografica. Per non parlare dello sciame di colibrì che svolazza sullo sfondo. Dall’antichità ai tempi moderni, dal Mar Nero alle Americhe, tutto al prezzo di uno.
Mitologia, biologia, esplorazioni, bellezza, grottesco, eros, humour, dettagli nitidi, confusione, vita, morte, spirito, carne, detto, non-detto… quest’arte piena di diavoli nei dettagli è immagine dell’universo.
dhr