Il dibattito si è concentrato su un interrogativo che da tempo mi fa riflettere su due fronti: da un lato c'è la scarsità di interventi a sostegno della cultura (in termini di donazioni, restauri e divulgazione), paradossale in un Paese in cui il patrimonio storico artistico, paesaggistico e architettonico è tanto abbondante; dall'altra la strenua opposizione di molti cittadini e studiosi alle poche forme di finanziamento o di intervento privato, ritenute occasioni di pubblicità o fruizione elitaria ed eccessivamente commerciale del prodotto artistico.
Il secondo dei due problemi, in particolare, è stato sollevato anche da Tomaso Montanari e Salvatore Settis nel corso dell'incontro tenutosi allo scorso Festivaletteratura e la posizione intransigente assunta dai due storici dell'arte mi ha disorientata: sembra che qualsiasi connubio pubblico-privato debba declinarsi in una forma di assoggettamento del primo al secondo, che non sia possibile il mecenatismo, ma solo una sorta di campagna promozionale per imprenditori e ricconi.
Riassumo, dunque, le mie riflessioni, cercando di mantenermi sulla linea del buon senso e del compromesso fra gli estremi, in questo caso fra l'idealismo di chi vede nel pubblico una realtà capace di autosostentarsi e la fame di marketing dell'imprenditoria e di certa amministrazione locale.
Foto tratta da storiedellarte.com
Sono completamente d'accordo sul fatto che il patrimonio storico-artistico di possesso pubblico debba rimanere proprietà dei cittadini, che lo possiedono come diritto sancito dalla Costituzione e che, di conseguenza, la svendita di esso ai privati sia un atto illegale e fortemente antidemocratico.
Alcuni interventi, che siano intrapresi da enti pubblici o privati, hanno una portata puramente pubblicitaria, senza alcun reale interesse per la salvaguardia del bene pubblico; in questo senso, sono ostile quanto Montanari, Settis e tanti altri esponenti del mondo di specialisti e non che hanno tuonato contro le scelte di Matteo Renzi di noleggiare Ponte Vecchio per un evento privato di Luca di Montezemolo (29 giugno 2013) e di effettuare un grottesco carotaggio su un affresco di Vasari a Palazzo Vecchio per cercare una presunta opera di Leonardo sotto di esso, come se l'opera del primo non meritasse rispetto solo perché il buon Da Vinci è un vip di portata internazionale buono da stampare sui gadget.
Esistono, però, forme di collaborazione costruttive con i privati che contribuiscono alla crescita culturale, alla conoscenza delle opere e degli artisti e, se ben gestite, se curate anche dal pubblico e non lasciate in completa gestione all'imprenditore partner (per evitare che diventino pure occasioni di pubblicità), possono produrre introiti anche per il pubblico stesso. Per esempio, le mostre di Marco Goldin sul ritratto e sul paesaggio a Vicenza e Verona hanno scatenato una dura polemica: il privato si appropria del pubblico (opere e strutture espositive) e costruisce 'mostre senza capo né coda' per il proprio vantaggio; in realtà, anche se parte delle opere provengono da musei pubblici, non trovo condannabile l'idea, purché il pubblico faccia valere il proprio interesse, richiedendo cospicue percentuali degli incassi da reinvestire in interventi di conservazione e restauro.
Per lo stesso motivo difendo progetti finanziati dai privati come il restauro del Colosseo recentemente avviato grazie ai finanziamenti di Diego Della Valle: l'impegno di privati in favore dei beni pubblici, soprattutto nella situazione attuale di crisi e date le opportunità di rilancio del Paese attraverso il patrimonio culturale, è secondo me un dato positivo. Sostengo, insomma, il mecenatismo, con il ritorno d'immagine che comporta per il privato, perché ritengo doveroso che una donazione (purché fatta ovviamente in modo limpido e legale) sia ricompensata con un manifesto ringraziamento. Senza, però, arrivare agli immondi cappotti pubblicitari in cui sono stati avvolti monumenti di tutta Italia, come è accaduto a Venezia.
Non voglio addentrarmi ulteriormente nella questione e spero di aver espresso in modo chiaro il mio pensiero, spero risulti evidente che sono una sostenitrice di prima linea della necessità di mantenere pubblico il patrimonio artistico, ma che, allo stesso tempo, ho coscienza dell'impossibilità del pubblico di salvarsi da solo. E, dunque, sono favorevole alla collaborazione paritaria e di reciproco vantaggio fra pubblico e privato, ma fatico ancora a stabilire un preciso limite, il punto di equilibrio in un rapporto che è comunque soggetto ai bisogni finanziari.
Cosa pensate di questo problema? Mi piacerebbe che, senza alimentare ulteriori polemiche su una materia tanto delicata, riuscissimo a capire meglio le implicazioni di questi meccanismi di finanziamento e sinergia.
C.M.