Folgorante aggiornamento (siamo nella swinging London di fine anni sessanta) del capolavoro di Oscar Wilde, girato da uno dei registi più capaci ed ingiustamente dimenticati del cinema italiano.
“Dorian, un giovane di rara bellezza, resta sconvolto dallo stupendo ritratto fattogli da un amico pittore, Basil. Ben sapendo che prima o poi l’armonia delle proprie fattezze sarà inesorabilmente sciupata dal tempo, mentre il ritratto resterà sempre lo stesso, Dorian esprime un assurdo desiderio: che a invecchiare in sua vece sia l’immagine ritratta. Trascorrono gli anni: inspiegabilmente la bellezza di Dorian rimane inalterata; il giovane si abbandona a un’esistenza dissipata, volta alla ricerca di sempre nuove sensazioni in spregio a ogni regola morale”
Helmut Berger ça va sans dire è la personificazione, tanto fisica che caratteriale, del giovane dissoluto immaginato da Wilde: un’interpretazione compiaciuta e perennemente in odore di biografismo, soprattutto se si rammenta lo status di icona cinematografica che raggiunse dopo l’esperienza di Metti, una sera a cena di Patroni Griffi ed il successo planetario de La caduta degli dei di Visconti.
Dallamano, anche coautore della sceneggiatura, definisce la pellicola in funzione dell’attore austriaco, rispettando lo schema orginario dell’opera letteraria. Tuttavia è avvertibile la presenza degli elementi che caratterizzeranno indistintamente tutti i futuri lavori del regista milanese: il gusto, davvero profondo, per i dialoghi e le battute ad effetto, per i sottintesi che identificano i gesti, le movenze o gli sguardi dei personaggi in scena. L’evocare nello spettatore quell’indefinito senso di disagio, di indistinta minaccia, che spesso turba i protagonisti senza una ragione apparente (e che raggiungerà una sintesi poetica con punte struggenti in Cosa avete fatto a Solange?).
La linearità della vicenda viene così puntellata e resa imperfetta da incursioni stilistiche molto personali, di primo impatto incongrue, in realtà preparatorie ad un severissimo giudizio sull’alta borghesia del tempo (di ieri come di oggi) spietata, prezzolata e viziosa; l’impagabile frutto tanto desiderato dal caro Dorian. Ad impreziosire poi la confezione, un cast femminile di tutto rispetto, che vanta la presenza di amazzoni del calibro di Marie Liljedahl, Margaret Lee, Maria Rohm e Beryl Cunningham. Piacevoli, anche se non memorabili, le musiche composte dal maestro Peppino De Luca.
Come ha giustamente scritto un utente sull’Internet Movie Database: “ad Oscar Wilde sarebbe piaciuto”.