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Il “DIRITTO AL RITORNO” e lo Stato Unico per Palestinesi e Israeliani

Creato il 11 maggio 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43

La geografia della dispersione e la stridente varietà di situazioni si accompagnano a una pluralità di culture diasporiche dei Palestinesi. Il bilanciamento delle profonde differenze via via formatesi avviene nella riunificazione immaginaria di tutte le comunità allorché l’ingiustizia storica sarà sanata e il “Diritto al Ritorno” realizzato.
Questo Diritto è  sancito dall’articolo 11 della risoluzione Onu n.194 dell’11 dicembre 1948  “I rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini devono essere autorizzati a farlo al più presto possibile, un risarcimento deve essere pagato per la proprietà di coloro che scelgono di non ritornare e per la perdita  o i danni alla proprietà che, in base ai principi del diritto internazionale ,  dovrebbe essere risarcito dai governi o dalle autorità competenti”Più di mezzo secolo è passato,  la perdita di terre e proprietà è cresciuta a misura dell’’espansione territoriale di Israele e  il principio del Diritto al Ritorno continua a essere la strettoia entro la quale s’incagliano tutti i veri o artificiosi tentativi di risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

L’ultima tornata di colloqui di pace promossi dagli Stati Uniti è fallita lo scorso Aprile.

Netanyahu  Ben Nitay

Intervista B. Netanyhau 1978 – You Tube

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu  ha reiterato che tutti i cittadini dello stato di Israele (Ebrei e Palestinesi) meritano uguali diritti, ma lo Stato in sé è patria del solo popolo ebraico e ciò deve essere sancito per legge.  Una convinzione alla base della sua attività politica fin dalla gioventù, come dimostra questa intervista in video (cliccare sull’immagine) del 1978. Il giovane Netanyhau, allora si faceva chiamare Ben Nitay, sosteneva, detto in estrema sintesi, che uno stato palestinese esisteva già: la Giordania, vista l’alta incidenza della componente palestinese nella società. Là dovevano confluire i Palestinesi, anziché permettere loro di creare un nuovo stato arabo confinante con Israele.

Salah Salah, Presidente del Comitato per i Profughi Palestinesi, dichiara – nel corso dell’incontro con la delegazione italiana in visita ai Profughi in Libano lo scorso aprile  - che sull’intero territorio della Palestina deve essere creato uno stato per tutti, dove tutti abbiano gli stessi diritti, ma che deve essere lo ” Stato di Palestina”. E’  questo uno dei principi fondativi della Carta nazionale della Palestina redatta nel 1968. “La spartizione della Palestina del 1947 e la creazione dello stato d’Israele sono atti totalmente illegali […]  Il Giudaismo, essendo una religione, non e’ una nazionalita’ indipendente e gli Ebrei non costituiscono una singola nazione con una identità propria, poiché essi sono cittadini degli stati a cui appartengono “

Come si vede, questa era una visione  speculare a quella espressa nel 1978 da Netanyhau, il quale, però, non teneva conto che l’idea della distruzione dello stato d’ Israele era stata abbandonata dall’ OLP già quattro anni prima da Yasser Arafat  nel  famoso discorso all’Onu del 1974:  “Oggi sono venuto portando un ramoscello d’ulivo e il fucile di un combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d’ulivo mi cada di mano.”  e nuovamente nel discorso di accettazione del premio Nobel  del 1994.

La rigidità delle leadership poggia su  un diffuso consenso dei loro popoli.

- Non è difficile sentire degli Ebrei israeliani affermare “questa  terra ce l’ha data Dio e i Palestinesi una volta non esistevano “ . [ Qui un divertente  Video di confutazione della versione sionista della “terra senza popolo” ] .
Quando Netanyhau  accennò  vagamente alla possibilità che alcuni insediamenti ebraici  (strutture non persone) potrebbero essere inglobati nei confini dello stato di Palestina fu costretto dalle proteste a una precipitosa retromarcia. 

– Ho chiesto alla pur brillante dirigente di un campo profughi in Libano come immagina di ottenere praticamente la restituzione della fattoria che i suoi genitori possedevano a Jaffa nel 1948 qualora fosse presentemente abitata da un’altra famiglia. Ha alzato le spalle “It’s mine”. E mia. Punto.
Quando Abu Mazen disse che non intendeva inondare la regione di Profughi Palestinesi  suscitò un vespaio di critiche e lo si accusò di aver svenduto il Diritto al Ritorno.

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Negli ultimi colloqui di pace Abu Mazen si è spinto molto avanti con le concessioni a Israele, ben oltre quelle codificate nella formula dei due Stati indipendenti sui confini del 1967 (linea verde). Lo rivela Martin Indyk, inviato speciale di Obama per i negoziati,  in una intervista  cui i media israeliani e internazionali non hanno dato rilievo perché essa è in contrasto con la narrazione ufficiale da parte di Israele, la quale imputa ad Abu Mazen la responsabilità del fallimento dei negoziati. L’intervista è stata ripresa dal magazine israeliano  indipendente  +972, e vi si legge che i negoziatori palestinesi hanno proposto:

- Lo Stato palestinese sarà smilitarizzato, concessione chiave per Netanyahu che la esige fin dal 2009.

- Una nuova frontiera che lascerebbe l’80 per cento dei coloni sotto la sovranità israeliana.

- Una presenza della durata massima di cinque anni  di Forze amercane in sostituzione di quelle israeliane nelle “zone di sicurezza” strategiche - soprattutto nella Valle del Giordano;  il che significa che Abbas  ha offerto di fare dello stato palestinese un’enclave all’interno di Israele per un periodo di tempo molto lungo.

- Concessione che i quartieri ebraici che si sono estesi a Gerusalemme Est diventino parte di Israele, il che significa accettazione dell’annessione israeliana di alcune parti della città.

- Un ritorno simbolico dei rifugiati previa autorizzazione di Israele.

C’è da chiedersi se il disperso popolo palestinese avrebbe accettato queste clausole, d’altra parte non si può escludere che siano state avanzate ai fini delle registrazioni storiche, nella previsione che nessuna straordinaria concessione soddisferà mai il governo israeliano guidato da Netanyhau.
Secondo il quotidiano online Al Monitor, i negoziatori israeliani questa volta sono stati presi alla sprovvista da inattese capacità mostrate della controparte palestinese nel condurre il dialogo: 

“Anni di negoziazioni con gli israeliani hanno fornito ai negoziatori palestinesi l’esperienza necessaria per trattare con la controparte, prevedere e pianificare. Il Capo negoziatore palestinese Erekat ha pubblicato un libro in cui  espone in dettaglio ciò che ha imparato negoziando con gli Israeliani [...] Nel suo libro , Erekat riflette su almeno 12 metodi che Israele usa per ottenere concessioni dai Palestinesi e far avanzare le posizioni israeliane. Questi metodi comprendono indiscrezioni, minacce, bollare la controparte negoziale di debolezza, sfruttare gli Stati Uniti e altri paesi occidentali per fare pressione sui Palestinesi, limitare i permessi di attraversamento dei confini, protestare con i leader arabi e capitalizzare le differenze fra i Palestinesi.
E’ tipico che le parti deboli siano meglio informate sulle controparti più forti. I Palestinesi conoscono i minuti dettagli della scena politica israeliana, più di quanto sappiano gli Israeliani su di loro. Per questo motivo , gli Israeliani sono stati  sorpresi dalle azioni dei Palestinesi, come nel caso dell’ accordo di riconciliazione Fatah e Hamas  firmato a Gaza il 23 aprile . “

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La politica non concede mai molto al lato umano, ma per il Diritto al Ritorno sembra addirittura che le parti guardino le situazioni  alla maniera dell’omerico Polifemo: con un occhio solo, pertanto senza visione prospettica, e in violazione delle sacre leggi dell’ospitalità.
Una buona parte dei due popoli contendenti non “vede” la similarità umana nella controparte. Chiusa nelle proprie antiche o presenti sofferenze, non avverte altra soluzione che contendere all’altra i diritti  su quella terra che per millenni fu di entrambi.

In un mondo ideale dove le ingiustizie non sono praticate o vengono sanate, la Palestina sarebbe la terra di due popoli uniti in uno Stato Unico; avverrebbero restituzioni desiderate o compensazioni per  le restituzioni indesiderate o impossibili.

Nadim Rouhana Touft University

Nadim Rouhana, Docente di Analisi dei Conflitti Int.

Con un atteggiamento realistico e obiettivo uno stato confederato, multietnico senza riferimento a confessioni religiose,  sembra l’unico possibile, sebbene difficilissimo, obiettivo da perseguire. Infatti, l’idea di uno stato “bi-nazionale” riaffiora ciclicamente (vedere: Israeliani e Palestinesi: separati insieme) ,  di solito quando si constata, come in questo periodo,  che la soluzione dei due stati risulta impraticabile .

In questo video (cliccare sull’immagineNadim Rouhana, Palestinese di Haifa, docente di analisi dei conflitti alla  prestigiosa  Touft University di Boston,  espone le ragioni che impediscono la soluzione dei due stati e perché lo stato confederato sarebbe la soluzione capace di portare la pace nell’area.

vedere anche: La Diaspora dei Palestinesi: la più grande e frammentata

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