I punti di contatto tra la cultura turca e quella italiana si riscontrano anche a livello prettamente giuridico, più specificatamente in ambito penalistico. Un’interessante occasione per approfondire la conoscenza reciproca tra Turchia e Italia è stato il convegno “Il diritto penale turco: fondamenti, prospettive di riforma, aspetti storici e comparatistici”, tenutosi presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Padova il 13 ottobre 2011 nell’ambito di un progetto di cooperazione tra l’ateneo patavino e l’università Bahçesehir di Istanbul.
Oltre ai tre relatori – la professoressa Ayşe Nuhoĝlu, il professor Ali Kemal Yildiz e il professor Feridun Yenisey – il gruppo proveniente da Istanbul era composto anche da 15 studenti della stessa università, entusiasti di essere in Italia e di approfondire alcuni aspetti del nostro diritto e al contempo orgogliosi di far conoscere il loro. Oltre ad essi, hanno partecipato il professor Silvio Riondato dell’Università di Padova, il dottor Attilio Nisco borsista presso il Max Planck Institute e la dottoressa Silvia Tellenbach.
Non soffermandomi sugli aspetti prettamente tecnico-giuridici attinenti soprattutto al nuovo Codice penale turco entrato in vigore nel 2005, v’è da dire che grande rilevanza è stata data al fatto che in tale codice è ancor oggi possibile riscontrare tracce del diritto penale italiano.
Nell’Impero ottomano, dove vigeva in precedenza il diritto islamico, nel 1839 vennero introdotti con le riforme Tanzimat i principi di legalità e di eguaglianza degli uomini dinanzi la legge. L’influenza della legislazione italiana su quella turca può essere riassunta in una serie di tappe fondamentali.
Il primo Codice penale secondo l’accezione attuale venne introdotto nel 1858 e rimase in vigore fino al 1926, e consisteva in una traduzione del Code Napoléon del 1810. Solamente nel 1926, in seguito al processo di laicizzazione dell’ordinamento iniziato nel 1924, il sistema penale turco mutò profondamente, subendo (o meglio, scegliendo di subire) l’influsso degli ordinamenti nazionali europei, tra cui quello italiano, da cui venne recepito il codice penale Zanardelli del 1889 (che venne tradotto quasi alla lettera in francese e che veniva considerato esempio di perfetta tecnica legislativa), e quello tedesco, che invece fornì il codice di procedura penale.
Il recepimento del codice Zanardelli tradotto in francese (alcuni osservatori maliziosamente osservano che nel 1926 fu importata la legge italiana, ma il diritto rimase francese), presentò al contempo aspetti positivi e negativi: tra i primi si annoverarono il fatto che già fosse disponibile una traduzione, che fosse pregno di carattere democratico e liberale e che recepisse i principi più avanzati dalla dottrina del tempo. Tra gli aspetti negativi venne subito posto in luce che la versione francese, oltre a presentare alcuni errori di traduzione, comportava anche una serie di difficoltà applicative.
Il recepimento però non può dirsi essere stato definitivo e completamente pregnante, in quanto l’ordinamento penale turco aveva previsto sanzioni più elevate rispetto a quelle vigenti all’epoca in Italia, e sopratutto si era deciso di preservare la pena di morte (abolita definitivamente nel 2004 dalla Costituzione turca).
Negli anni ’30 del XX secolo il codice turco venne rivisto nuovamente alla luce del nuovo codice penale italiano (il Codice Rocco), entrato in vigore nel 1930 e tutt’ora vigente.
Le vicende della seconda guerra mondiale ostacolarono nuovi progetti di riforma, e solo nel 1958
venne presentato l’ultimo progetto che apertamente si ispirava alla codificazione italiana. A livello costituzionale, è di notevole importanza l’introduzione nell’ordinamento turco del principio di colpevolezza previsto nella costituzione italiana all’art. 27 (La responsabilità penale è personale), ed introdotto dapprima nella costituzione turca del 1961 e poi definitivamente recepito all’art.38 della costituzione del 1982.
Tra i più eminenti studiosi del diritto penale italiano, spicca la figura del professor Sahir Erman, autore con il professor Dönmerzer del trattato “Il diritto penale nella teoria e nella pratica” in cui egli effettua interessanti richiami alla letteratura penalistica italiana.
V’è da concludere dicendo che oggi l’influsso della scienza penalistica italiana sulla dottrina turca è più ridotto rispetto al passato, venendo nel tempo preferita la cultura e la dottrina tedesca, che rimane tutt’ora la più diffusa in Europa.
Per quanto concerne il nuovo codice penale turco (2005), è interessante notare come esso abbia subito l’influenza del diritto francese e tedesco, nonché (ed il punto ricopre notevole importanza) della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, mostrando cosi nella forma e nella sostanza una sempre maggior vicinanza agli ordinamenti europei. Nella parte speciale del codice sono state infatti introdotte fattispecie quali “Genocidio e delitti contro l’umanità” (in recepimento dei principi espressi dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale e dalle Convenzioni delle Nazioni Unite), “Sperimentazione Umana”, “Traffico Illegale di organi e tessuti”, “Delitti contro l’Integrità sessuale”, “Violenza sulle donne”, “Lesione della sfera personale e intima della persona” ed infine “Diritto penale dell’ambiente”, fattispecie che colmano profonde lacune della codificazione precedente.
Se consideriamo più specificamente l’influenza derivante dal nostro ordinamento, di particolare interesse risulta quanto previsto nell’ambito dei reati a tutela dello Stato. Già nel codice turco degli anni ’30 (che recepiva il codice Rocco di epoca fascista) venne previsto l’art.159 che puniva alcune forme di vilipendio nei confronti della nazione turca e di diverse istituzioni, fattispecie attualmente prevista dal controverso art.301. Controverso perché da più parti si è sottolineata la vaghezza dell’oggetto tutelato (“nazione turca”) e della condotta punita (“denigrazione”), che permetterebbe la punibilità di condotte di mero scherno prive di “insulto”. La norma in questione, già modificata nel 2008, è tutt’ora oggetto di critiche (anche da parte dell’Unione europea), in quanto ritenuta una vera e propria limitazione della libertà di pensiero e di espressione (si ricordi il “caso Pamuk” su tutti).


