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Sedersi in sala al proprio posto assegnato e cominciare ad addentrarsi in questo film è come entrare in un negozio di abiti su misura. A ognuno il suo abito su misura, se possibile in confezione da Oscar.
Il discorso del re è un film abilmente costruito a tavolino, vagamente affabulatorio, che offre chiavi di lettura immediate di pronto consumo per lo spettatore affamato di buoni sentimenti sparati ad alzo zero e altre meno immediate, nonchè meno comode da enumerare per una pellicola che si presentò alla notte degli Oscar come grande favorita per la vittoria finale. Non ho fatto il tifo per lei perchè quello che ho visto mi è apparso più furbo che bello, un compitino laccato e imbellettato in pacchetto regalo per consentire ai suoi protagonisti di vincere l'ambita statuetta.
Se questa mia tesi fosse fasulla allora perchè candidare Colin Firth come migliore attore protagonista e Geoffrey Rush come migliore attore non protagonista quando nell'economia del film hanno lo stesso peso e il loro nome appare sopra il titolo del film alla stessa altezza? L'abitino su misura per l'Oscar viene costruito anche per Helena Bonham Carter nel ruolo della moglie del re: un modo di approcciare il personaggio della regina madre piuttosto particolare tra momenti in cui cerca di trattenere la recitazione e momenti in cui la sua gestualità si fa molto più ruspante e molto molto simile a quella della regina madre che ho avuto modo di apprezzare in vari filmati.
E sono sicuro che molti di quei filmati per levigare la sua recitazione se li sia visti anche lei.
Firth e Rush sono molto bravi ma mi pare evidente che il secondo rubi la scena al primo in virtù di una maggiore varietà nella sua gamma di toni.
Firth è perfetto nei mezzi toni e nel recitare per sottrazione come dice la sua carriera, la parte di un re suo malgrado che finalmente riesce a diventare un re vero anche agli occhi dei suoi sudditi è un perfetto veicolo promozionale per lui ma è anche un terreno viscido su cui scivolare nel manierismo recitativo: lui fortunatamente riesce a starne fuori ma ciò non toglie che la parte più stimolante sia quella del logopedista australiano che Rush (in veste anche di produttore e qui si ritorna alla dietrologia applicata di cui ho fatto esercizio prima) abilmente si riserva.
Dicevamo di chiavi di lettura immediate e di altre meno immediate:tra le prima possiamo citare l'amicizia anticonvenzionale tra due uomini diversissimi tra loro, Bertie (il re ) ingessato dalle convenzioni e dai protocolli, il logopedista borghese Lionel che vive modestamente ma liberamente, l'iter formativo di un semplice ufficiale di Marina (che si sente totalmente inadeguato ad occuparsi della cosa pubblica) che riesce a diventare il re che tutti vogliono, un film che parla di un diverso che arriva a considerarsi come tutti gli altri.
Accanto a queste tematiche sono da ricordare la critica neanche tanto velata alle regole imposte dalla Chiesa simboleggiate dall'Arcivescovo interpretato da Jacobi, la comprensione dell'importanza dei mezzi di comunicazione di massa per formare coscienze, le simpatie filonaziste (nel film appena accennate) del fratello maggiore di Bertie, che abdica in suo favore sia per queste simpatie scomode sia perchè sposa una donna già divorziata.
E se il motivo dell'abidicazione ufficialmente è legato alla volontà di evitare un conflitto con la Chiesa anglicana, ufficiosamente possiamo pensare che abbiano pesato anche quelle simpatie ideologiche piuttosto scomode. Ingiustificabili in uno scenario storico come quello della seconda metà degli anni '30.
La regia di Hooper non brilla per dinamismo facendo assomigliare il film a quei drammi televisivi della BBC di indubbio pregio formale ma spesso incapaci di far emozionare.
Ecco è questo che manca al film: la capacità di suscitare emozione.
Si esce dal cinema moderatamente soddisfatti per aver visto uno spettacolo edificante, politicamente corretto, stilisticamente apprezzabile per via di una ricostruzione storica curata anche se non sfarzosa, una buona performance attoriale.
Però sembra un pò tutto costruito ad arte per portare a casa quelle maledette statuette a forma di zio Oscar, tutto preconfezionato ad uso e consumo dei giurati dell'Academy, uno spettacolo calligrafico ma che non prende mai il cuore.
Al massimo arriva all'epidermide...
( VOTO : 6,5 / 10 )
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