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Per quanto certo di ciò che deve dire, per quanto sciolto nei rapporti con la moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter) e con le figlie Margaret ed Elizabeth (che gli succederà al trono dopo la sua abdicazione), Albert viene preso da un blocco totale quando deve manifestare pubblicamente il suo carisma in pubblico o di fronte al padre e al fratello maggiore.
L'importanza del ruolo che è chiamato a rivestire sia come principe di York sia, successivamente, come sovrano, lo convincono ad affrontare una faticosa terapia per superare la balbuzie; dopo numerosi tentativi falliti ad opera di specialisti, è grazie ad un aspirante attore di origini australiane, Lionel Logue (Geoffrey Rush) che Albert trova il modo di vincere la propria esitazione e il proprio nervosismo. Le singolari terapie di Lionel lasciano dapprima perplesso il futuro sovrano, ma iniziano, pur gradualmente, a sortire i loro effetti, finché, libero dalla soggezione del padre e del fratello, ma gravato dalle responsabilità del regno, Giorgio VI sarà chiamato, nel 1939, a pronunciare il discorso di ufficializzazione dell'entrata in guerra rivolto all'intero impero britannico.
Storia di amicizia e di paure, di affetto e di responsabilità, Il discorso del re ha meritatamente conquistato quattro Oscar nel 2011, ottenendo i titoli di miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale e miglior attore protagonista per Firth, decisamente inedito nella capacità di passare da insicuro scolaretto a prorompente urlatore da stadio. Più che opportuna, anche se non concretizzata, anche la nomination di Rush a miglior attore non protagonista.
Se non fosse la resa artistica di una reale vicenda storica, Il discorso del re sarebbe solamente un buon film, da consigliare e vedere più volte perché capace di emozionare e far riflettere, regalando anche qualche momento di divertimento. Il film di Hooper, però, è molto di più: spalanca l'ideale quarta parete fra un mondo di protocolli e cerimonie e la vita privata delle persone che stanno dietro di essi, offre una nuova prospettiva della storia e mescola il trasporto della buona narrazione con la suggestione derivante dalla consapevolezza della verità di quanto viene portato sullo schermo. Sarà forse una ricorrente impressione personale, ma il legame fra l'arte e la realtà mi offre sempre una lente diversa di guardare ad un film, ad un quadro, ad un libro, perché i linguaggi si confondono e i significati si moltiplicano, producendo spesso effetti meravigliosi.
C.M.
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