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Il Discorso di Gettysburg

Da Maurizio Lorenzi

ScreenShot014Il Discorso di Gettysburg è il discorso pronunciato dal presidente americano Abramo Lincoln il pomeriggio del 19 novembre 1863, durante la guerra di secessione americana, alla cerimonia di inaugurazione del cimitero militare di Gettysburg, 4 mesi e mezzo dopo la battaglia di Gettysburg. Il pensiero di Lincoln è rivolto allo sforzo della nazione nella guerra civile, ma con l’ideale che a Gettysburg nessun soldato, dell’Unione o della Confederazione, del nord o del sud, era morto invano.

Esso rappresenta una pietra miliare nella costruzione della futura nazione americana.  Lincoln parla di come gli esseri umani siano uguali, riprendendo quanto sancito nella Dichiarazione di Indipendenza. Sostiene anche che la guerra civile è stata una lotta non solo per l’Unione, ma “la rinascita della libertà” che avrebbe reso tutti davvero uguali all’interno di un’unica nazione finalmente unita.  Il discorso inizia con il famoso “Ottantasette anni fa”, riferendosi alla Rivoluzione Americana nel 1776. Lincoln usa la cerimonia a Gettysburg per incoraggiare gli uomini ad aiutare la democrazia americana, in modo che il “governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire (non sia distrutto) dalla terra”.

Nonostante il discorso sia uno dei più importati della storia nazionale, non siamo certi riguardo alle esatte parole che furono pronunciate quel giorno dato che i cinque manoscritti noti si differenziano l’uno dall’altro per alcuni dettagli.

« Or sono sedici lustri e sette anni che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella Libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali. Adesso noi siamo impegnati in una grande guerra civile, la quale proverà se quella nazione, o ogni altra nazione, così concepita e così votata, possa a lungo perdurare.

Noi ci siamo raccolti su di un gran campo di battaglia di quella guerra. Noi siamo venuti a destinare una parte di quel campo a luogo di ultimo riposo per coloro che qui dettero la loro vita, perché quella nazione potesse vivere. È del tutto giusto e appropriato che noi compiamo quest’atto. Ma, in un senso più ampio, noi non possiamo inaugurare, non possiamo consacrare, non possiamo santificare questo suolo.

I coraggiosi uomini, vivi e morti, che qui combatterono, lo hanno consacrato, ben al di là del nostro piccolo potere di aggiungere o portar via alcunché. Il mondo noterà appena, né a lungo ricorderà ciò che qui diciamo, ma mai potrà dimenticare ciò che essi qui fecero. Sta a noi viventi, piuttosto, il votarci qui al lavoro incompiuto, finora così nobilmente portato avanti da coloro che qui combatterono.

Sta piuttosto a noi il votarci qui al grande compito che ci è dinnanzi: che da questi morti onorati ci venga un’accresciuta devozione a quella causa per la quale essi diedero, della devozione, l’ultima piena misura; che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano (per nulla); che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra. »


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