È un sabato mattina, e piove lento su Roma. Ho i pugni che stringono i lembi della giacca di velluto, un buco al braccio per un prelievo di sangue appena effettuato, la faccia pallida che si specchia nel piccolo monitor del bancomat. Il traffico intorno a me sfila lento, c’è la consueta frenesia data dalla pioggia, la gente che si accalca invocando il riparo di un balcone o di un cornicione, l’atrio di un condominio, il dehor di un bar. Ci sono le luci fredde e liquide dei fari delle macchine e delle vetrine in allestimento con i primi ornamenti natalizi, ci sono i cappotti neri vellutati di goccioline finissime, ci sono le buste lucide della spesa, lo splendore in vernice bianca delle strisce pedonali. Poi c’è lui, il padrone del negozio di calzature da donna, una lussuosa attività commerciale che gli ha reso una vita al di sopra delle aspettative da emigrante, il vecchio con gli occhi grigi e le spalle curve che siede al centro del negozio, sui sedili riservati alla prova delle scarpe, un lungo puff in pelle marrone. C’è lui con i gomiti piantati sulle ginocchia, le mani intrecciate, lo sguardo basso, il ricco commerciante che ha fatto fortuna assomiglia a un vecchio qualunque che spende i suoi sabati a leggere il giornale su una panchina del parco comunale. L’unica differenza è questa circostanza di calzature iperfemminili da cinquecento euro in su. Il suo è il classico presidio della proprietà, ma sembra non portare in sé nessun dubbio sul fatto che la sua vecchiaia, in questo locale pieno di richiami allo charme della moda, possa essere altro che una malattia o una degenerazione. La sua vita è irrimediabilmente andata, come la pioggia del sabato mattina, la stanchezza delle sue rughe è il peggior richiamo promozionale per la piccola attività di famiglia. Non si accorge della signora che scruta la vetrina, che poi lo guarda troneggiare dove ti aspetteresti di vedere un bel paio di gambe da donna fasciate di calze scure che provano tacchi alti come le sue orecchie. Non si accorge che la signora scappa via. Ciò che ora vedo io con molta più chiarezza è che, sebbene il suo nome e il suo corpo siano così diversi da un tempo, il disegno più vasto che lo racchiude continua immutato.
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