Ci sono quei libri che rimangono nella tua libreria in attesa del momento giusto. Quel momento che sembra allontanarsi ogni volta che fai la scelta di cosa leggere.
E poi ci sono consigli quasi per caso “Sto leggendo Accabadora, ti piacerebbe.” che improvvisamente fanno arrivare quel momento.
E ti ritrovi questo “libricino” (dopo aver letto tomi da 400 pagine sembra così piccolo), che non comprendi perché non sai neanche cosa voglia dire il titolo. Questo libro in cui ti ci immergi quasi da subito. E sai che, sotto sotto, sotto quella storia, sotto quelle parole scritte, si agita un segreto, una verità scomoda e terribile.
Cosa sia l’Accabadora lo scopri dopo un po’ (credo che per chi in quella splendida isola ci è nato, sia evidente da subito, ma io sono ignorante e non ho voluto leggere più di quello che fosse necessario alla trama).
E appena ne vieni a conoscenza, non puoi fare a meno di mettere, tra quelle righe, il tuo pensiero e le tue idee. Che poi poco importano perché il libro scorre e va avanti, la storia si complica e si accavalla.
Nell’armonia del libro, forse è la parentesi torinese di Maria che si lega male alla storia, mi è sembrata poco utile alla crescita del personaggio. E forse il finale è un po’ affrettato.
Ma in questo libro c’è cuore, c’è storia, e c’è quel soffio di passione che a volte serve a risvegliare qualcosa di dormiente dentro di noi.
La Sardegna degli anni Cinquanta è un mondo antico sull’orlo del precipizio. Maria ha sei anni ed è appena diventata «figlia d’anima» dell’anziana Bonaria Urrai, secondo l’uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare le sterilità altrui attraverso una adozione sulla parola; il patto tacito è che la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia. La bambina è inizialmente convinta che Bonaria Urrai faccia la sarta, e infatti le giornate sono segnate dallo scorrere nella bottega casalinga di una umanità paesana, fatta di piccole miserie e di relazioni costruite di gesti e di sguardi, molto piú che di parole. Accettata come normale dal paese, l’adozione solidale tra la vecchia e la bambina si consolida malgrado lo sfaldarsi circostante delle antiche certezze. Attraverso lo sguardo privilegiato della bambina che cresce, le contraddizioni tra il vecchio e il nuovo emergono via via piú evidenti: nell’esperienza della scuola dell’obbligo, e in quella del confronto tra la fede cristiana e i retaggi di una religiosità assai piú antica nel tempo. Sarà l’imprevista rivelazione del segreto peccato collettivo dell’accabadura – la fine violenta e pietosa a cui Bonaria è incaricata di sottoporre gli agonizzanti in fin di vita – a infrangere l’armonia tra le due donne, costringendo entrambe a fare i conti tra l’etica millenaria di una società morente e i nuovi valori che l’incalzano.