di Maria Dolores Cabras e Giuseppe Dentice
“Auspico pace e prosperità, fortuna e felicità per l’intelligente, saggio, laborioso, diligente e amichevole popolo cinese e israeliano nell’anno del Drago durante il quale si celebra il 20° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Cina e Israele”. Questa la dichiarazione ufficiale dell’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese, Gao Yanping, che ha presenziato alla IV Conferenza “TSAV 8 TO BARCELONA”, tenutasi in Israele lo scorso gennaio. Insieme all’israeliana Irit Ben-Abba, Vice Direttore Generale per gli affari economici, Gao ha ricordato i prodromi dei rapporti tra i due Paesi che si sono sviluppati nel corso di almeno 1.000 anni di storia e che hanno “resistito alla prova del tempo”, mantenendosi saldi anche durante la Seconda Guerra Mondiale, quando “le città in Cina, come Shanghai, hanno accettato e fornito assistenza a migliaia di ebrei fuggiti dalla persecuzione nazista”. La diaspora ebraica e la relazione tra Israele e le comunità ebraiche all’estero è un paradigma da emulare e dal quale trarre ispirazione per Pechino, per gestire il legame con i milioni di Cinesi d’oltremare.La relazione tra Israele e la Cina ha pendolato continuativamente tra accelerate e intenti di cooperazione e brusche frenate ed incomprensioni reciproche, influenzata dalla logica delle alleanze strategiche e dalla simmetria nel conseguimento dei rispettivi orientamenti geopolitici.Israele è stato il settimo membro delle Nazioni Unite e il primo Paese dell’Asia Occidentale (o Medio Oriente) a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese. L’allineamento israeliano lungo le fila del blocco occidentale e filo-americano si contrapposer adicalmente all’ideologia maoista terzo-mondista e anti-coloniale, che puntellava il blocco arabo e supportava la causa dell’OLP, tanto che fu solo nel gennaio del 1992, dopo la visita del Ministro degli Esteri David Levy a Pechino, che la Cina accordò il riconoscimento diplomatico ufficiale allo Stato di Israele, inaugurando così una fiorente stagione di cooperazione economica emilitare.La modernizzazione tecnologica, la formazione del capitale umano nel settore agricolo e la trasmissione di know-how israeliano alla Cina, assicurate con l’accordo bilaterale del 1993, hanno avviato la produttiva collaborazione tra i due Paesi, favorendo da una parte lo sviluppo cinese (il più grande impianto di desalinizzazione al mondo è stato costruito a Tianjingrazie al sostegno israeliano) e dall’altra il consolidamento della percezione esterna di Israele come pivot insuperabile nell’ambito dell’innovazione. Dal 1992 fino ad oggi, il volume del commercio sino-israeliano è incrementato di circa il 14.000%, passando dai 50milioni di dollari agli 8 miliardi. Il commercio è cresciuto enormemente nel 2011, aumentando del 28% nel primo trimestre dell’anno, rispetto all’anno precedente.La Cina del miracolo economico sta acquistando sempre maggior peso nella tela delle relazioni di Israele, che mira a spingere rapidamente in avanti la sua strategic friendship per recuperare il ritardo nello sviluppo del rapporto con Pechino. È alla luce di ciò che i Cinesi iniziano ad esser invitati a partecipare alle opere infrastrutturali nazionali, come nel caso della linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà Eliat a Tel Aviv.D’altra parte il governo di Pechino guarda alla cooperazione con Israele come ad una risorsa di mutuo beneficio in una situazione di tipo “win-win” (io vinco-tu vinci) in cui tutti guadagnano e ad una preziosa opportunità per la crescita della nazione, non come ad un antagonista strategico.L’intensificazione delle visite ufficiali tra Israele e la Cina è un buon indicatore del rafforzamento dei rapporti negli ultimi dieci anni: ripetuto e prolungato il tempo di permanenza a Tel Aviv del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese, il generale Chen Bindge e del Ministro della Cultura Cai Wu, e sempre più frequenti sono i viaggi delle delegazioni provinciali dei governi locali del Guangdong, Tianjin e Zhejiang, in Israele.“Il marchio ‘made in Israel’ è ora un segno di qualità e un potente strumento di penetrazione commerciale nel Paese”. Come ha spiegato Einat Tzur della Camera di Commercio di Pechino, “c’è ancora un divario culturale tra la Cina e Israele, che mitiga il progresso. Gli Israeliani tendono ad essere impazienti e sempre in cerca di risultati veloci. I Cinesi hanno un approccio a lungo termine che vale anche per il loro stile di congedo di un affare. Con un maggiore incremento delle rispettive pratiche commerciali il divario culturale si restringe”.Nell’ottobre del 2011 la filiale della China National Chemical Corporation (ChemChina) ha acquistato il 60% dell’israeliana Makhteshim Agam per un valore di 2,4 miliardi di dollari, la più grande vendita aziendale nella storia di Israele. La scorsa settimana il Ministro delle Finanze cinese Xie Xuren e il suo omonimo israeliano Yuval Steinitz hanno firmato a Pechino un protocollo finanziario di 300 milioni di dollari che mira ad incrementare l’esportazione della tecnologia israeliana per l’approvvigionamento delle risorse idriche per il settore agricolo e lo sviluppo delle aree desertiche della Cina nord-occidentale, nelle province del Xinjiang, Qinghai, Ningxia, Shaanxi e Gansu. La complementarietà degli intenti strategici è pressoché perfetta: la Cina ha una grande estensione territoriale ma scarsoknow-how tecnologico; Israele, proprio a causa della sua base limitata di risorse, ha puntato sull’innovazione tecnologica e la ricerca, rendendo quel settore un bacino di riserve da cui trae un incomparabile vantaggio competitivo.Durante l’incontro i due Ministri hanno espresso l’opportunità di approfondire la collaborazione bilaterale anche nel campo energetico, ammettendo l’eventualità nel futuro imminente di siglare un accordo specifico sull’esportazione del gas naturale israeliano da Eilat alla Cina. Per mantenere i suoi alti livelli di crescita economica e coprire il fabbisogno energetico della nazione, Pechino rinforza da una parte i legami con il Gulf Cooperation Council (GCC) el’Iran e, dall’altra, consolida il parternariato strategico con Israele, confermando il proprio pragmatismo politico.La partecipazione della Cina al progetto “Red-Med” per la costruzione della linea ferroviaria che collega il porto di Eliat, nel Golfo di Aqaba sul Mar Rosso, ad Ashdod a 30 Km a sud di Tel Aviv, un ponte tra l’Asia e l’Europa, è un riflesso dei grandi interessi strategici cinesi rispetto alle riserve energetiche del bacino del Levante, e ancor di più rispetto alla conquista di uno sbocco nel Mediterraneo Orientale per le sue esportazioni.Tuttavia, a rendere Israele uno “strategic player” e partner agli occhi dei Cinesi è soprattutto il crescente interesse per la stabilità e il mantenimento dello status-quo regionale in Asia Occidentale, necessario per lo sviluppo pacifico del Paese nell’arena internazionale, per l’approvvigionamento delle risorse energetiche e l’assicurazione del supporto politico dei Paesi-amici nell’area.La military-tech partnership
Lotta al terrorismo, tecnologia militare ad alto livello, guerra elettronica e controllo dei confini sono solo alcuni dei campi in cui Israele ha progressivamente costruito la propria reputazione internazionale, richiamando le attenzioni e le lusinghe di molti Paesi emergenti in via di modernizzazione, come la Cina, l’India e la Turchia.La cooperazione sino-israeliana nel settore della sicurezza e della formazione militare è la pietra angolare dell’intera architettura relazionale di Pechino e Tel Aviv. Prima ancora che i due Paesi ufficializzassero i rapporti diplomatici, il volume della vendita di tecnologia bellica per la difesa da Israele alla Cina era cospicuo, capitalizzato intorno ad oltre mezzo miliardo di dollari al giorno, circa 5,7 miliardi di dollari tra il 1984 e il 1994.Con la formalizzazione degli accordi di collaborazione gli scambi si sono intensificati, subendo alcune battute d’arresto sotto pressione degli Stati Uniti nel 2000 – con l’annullamento della cessione di quattro Warning Phalcon – e nel 2004, quando Washington intimò Tel Aviv di non cedere ai Cinesi i droni e la nuova tecnologia del IAI Harpy (UAV), un aereo senza equipaggio e munito di una testata ad alto esplosivo prodotto dalla Israel Aerospace Industries, capace di attaccare i sistemi radar e già acquistato da Pechino a metà degli anni Novanta.Superati questi nodi di frizione, i legami bilaterali sono però accresciuti, come ha confermato l’ammiraglio Wu Shengli della Marina Militare dell’ELP cinese: “la parte israeliana valorizza lo sviluppo degli scambi militari e la cooperazione con la Cina e desidera collaborare con i nostri amici Cinesi per incrementare le relazioni militari ad un nuovo livello”.La IAI (Israel Aerospace Industries) ha appena concluso un accordo di joint-venture nell’ambito aeronautico con la cinese AVIC (Aviation Industry Corporation) per la produzione congiunta di jet e velivoli militari a Chengdu, nel Sichuan cinese, battendo sul tempo la statunitense Hawker Beechcraft e la canadese Bombardier.La terra promessa di Israele
Se per Pechino Tel Aviv assomiglia ad una tessera di un puzzle strategico e geopolitico ben preciso, per Israele la Cina rappresenta indubbiamente una grande opportunità dal punto di vista economico e militare, ma con numerose criticità e/o interrogativi politici da chiarire.Israele ammira enormemente lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico che ha caratterizzato la crescita della Cina negli ultimi decenni. Lo Stato ebraico attribuisce, inoltre, grande importanza alla promozione dei suoi legami con la Cina, la seconda potenza economica del mondo, membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU e attore importante in Asia e in ambito internazionale.Il Dragone è diventato il terzo mercato più grande per Israele nell’esportazione e il commercio bilaterale è in ripresa già da diversi anni. I rapporti con Pechino già negli ultimi anni hanno conosciuto un particolare impulso, dapprima sotto forma di relazioni culturali privilegiate, successivamente comepartnership economica: secondo i dati dell’Israel Export Institute, la Cina è la quarta destinazione delle esportazioni dei prodotti israeliani. Ma il mercato cinese è ancora ampiamente inesplorato dalle aziende israeliane. Per questo motivo numerose imprese ebraiche impegnate nel settore medico-farmaceutico e dell’elettronica hanno visto spalancarsi la possibilità di inserirsi un mercato dalle opportunità immense in termini di affermazione economica, di sviluppo commerciale e di abbassamento dei costi gestionali.Insomma Israele considera la Cina uno Stato ad alta priorità strategica come dimostrano le recenti dichiarazioni del Premier Netanyahu, durante le celebrazioni per il ventennale delle relazioni bilaterali a Tel Aviv: “Penso che abbiamo appena scalfito la superficie delle relazioni israelo-cinesi; non ho alcun dubbio che nei prossimi anni vedremo un’espansione spettacolare di questi legami. […] Cina e Israele sono una combinazione vincente”. Anche il vicendevole scambio di visite degli ultimi mesi tra il Capo di Stato Maggiore cinese Chen Bindge e il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, che dovrebbe portare ad un’importante collaborazione strategica in campo militare, sembra andare verso un rafforzamento della cooperazione sino-israeliana. Queste relazioni bilaterali, a fronte del progressivo isolamento diplomatico in cui si trova attualmente Israele, potrebbero conoscere un ulteriore salto di qualità, tramutandosi in una vera e propria strategic partnership. Tuttavia, l’appoggio fornito da Pechino al regime di Teheran rappresenta una grande incognita per Israele – infatti già nel 2002 avevano portato ad un raffreddamento delle relazioni bilaterali.Le relazioni pericolose di Pechino con Teheran
Quando l’economia cede il passo alla politica internazionale i problemi potrebbero iniziare ad affiorare. Questo potrebbe essere, appunto, il caso delle relazioni sino-israeliane. La Cina vuole candidarsi ad assurgere un ruolo sempre più strategico sullo scacchiere globale e il successo di tale ambizione passa per il Medio Oriente e, più precisamente, per Israele. Come riferito recentemente dall’Ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Li Baodong, “lo sviluppo delle relazioni diplomatiche con Israele avrà benefici anche sulla stabilità della regione, sulla pace mondiale e sulla prosperità globale”. A frenare però una possibile intesa politica tra i due Paesi vi è la rinnovata preoccupazione del nucleare iraniano per Israele.Infatti tra Cina e Iran esiste da anni una “vicinanza” politica consolidata da attività di cooperazione economica e militare. Nonostante il pacchetto di sanzioni che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto con una Risoluzione all’Iran per il suo programma nucleare, la Cina resta il suo primo partner economico e, anzi, approfitta della condizione di isolamento internazionale di Teheran per ergersi quale suo interlocutore esclusivo e privilegiato, e per colmare con i propri investimenti ivuoti lasciati dagli altri partners.Proprio questo pragmatismo politico di Pechino, che antepone la soddisfazione dei propri interessi alle condivise preoccupazioni della Comunità Internazionale sui piani nucleari dell’Iran, preoccupa non poco Tel Aviv. Ma la posizione cinese nei confronti della questione palestinese o del nucleare in Iran non muterà neanche con un rafforzamento delle relazioni con Israele.Infatti, l’aspetto più interessante della diplomazia cinese in Medio Oriente è che la sua strategia avanza lungo tre direttrici parallele: l’Iran, il GCC e Israele, appunto. Pechino cerca di sfruttare a proprio vantaggio le ostilità esistenti tra questi attori regionali in modo che le tre piste diventino complementari e portino vantaggi all’azione cinese. Questa pericolosa e apparente strategia contraddittoria è favorita anche dalla forte competizione tra gli attori in campo per migliorare i propri rapporti con la Cina. Quindi non deve stupire il fatto che Israele possa anche accettare l’alleanza sino-persiana se essa può comunque essere insidiata attraverso azioni di disturbo in altri contesti.Il “filo di perle” giunge fino in Israele?
Israele punta tanto sulle tensioni che caratterizzano la regione mediorientale e, in particolare, sulla dipendenza energetica di Pechino, anche se quest’ultimo non sembra intenzionato ad indebolire, almeno per il momento, la sua relazione economica con l’Iran. Netanyahu ha detto: “apprezzo la necessità della Cina di assicurare una fornitura regolare di energia con lo scopo di continuare con la sua impressionante crescita. Credo che è possibile sostituire il petrolio iraniano”.In virtù di ciò, Israele “offrirebbe” a Pechino le proprie riserve di petrolio e gas nel bacino del Levante come forma di scambio politico-energetico agli idrocarburi iraniani. Infatti, i bacini Tamar, Leviathan, Dalit e Afrodite, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, dovrebbero contenere riserve complessive pari a 1.700 miliardi di barili di petrolio e una media di 122 bilioni di piedi cubici di gas. Pechino si inserirebbe in questo quadro, oltre che per garantirsi gli approvvigionamenti, anche per operare nelle settore delle infrastrutture, finanziando, di fatti, da un lato installazioni per la liquefazione che verranno realizzate lungo la costa di Haifa e, dall’altro, strade e ferrovie per il trasporto verso i mercati d’esportazione d’energia di Israele. Le connessioni via ferrovia e strada faciliterebbero il trasporto di gas naturale liquefatto dalla costa mediterranea d’Israele alla costa del Mar Rosso, da cui, attraverso l’Oceano Indiano può giungere fino in Cina. Queste attraenti prospettive di cooperazione spiegano la fiducia di Netanyahu nel commercio bilaterale con la Cina, con le aspettative di essere duplicato in un futuro molto vicino. Sembra perciò delinearsi una coincidenza di interessi di Pechino nel Mediterraneo e di Tel Aviv in Oriente verso i mercati dell’Asia indiana e cinese. Come affermato da Netanyahu “vogliamo creare per le potenze emergenti un interesse strategico nello Stato di Israele” al fine di “sfruttare al meglio la nostra posizione geopolitica”, in modo da divenire “un tassello di collegamento fra Europa, Medio Oriente e Asia”. Questo concetto racchiude le strategie geopolitiche di entrambi i Paesi. Resta da vedere, in ogni caso, come i rapporti tecnologico-strategici fra Cina e Israele possano mutare senza urtare la sensibilità politica di Washington, da sempre alleato principale di Tel Aviv in Medio Oriente.* Maria Dolores Cabras è Dottoressa in Relazioni Internazionali (Università di Firenze)* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)Note bibliografiche e approfondimenti:Israel plans Red-Med rail link to take Suezoverflow; strategic Eilat line will link Europe to Asia, Monday, 30 .01 2012P. R. Kumaraswamy, “At What Cost Israel-China Ties?”,Middle East Quarterly, Spring 2006NadavShemer, “Israel,China sign $300m. financial protocol”,29.02. 2012, JerusalemPostDavid Rosenberg, “Israel-China relations growing deeper”,7.07.2011, Jerusalm PostCarice Witte, Founder/Exec. Director,SIGNAL, Twenty Years of China-Israel Relations,Israel Resource Center, 6.02.2012Embassy of the People’s Republic of China in the State of Israel, China and Israel Work Together with Sincerityand Reciprocity, 21.02. 2012“Godfather” of China-Israel Trade Heralds StrongRelations, 29.02.2012, The Israel ProjectMINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS OF THE PEOPLE’SREPUBLIC OF CHINAChinese Ambassador Gao Yanping Hosts ReceptionCelebrating the 20th Anniversary of Diplomatic Relations Between China andIsrael and Chinese Spring FestivalVittorioDan Segre, “Cina-Israele,lo strano asse degli armamenti: la tigre asiatica cerca sponde nelMediterrraneo”, 11.09.2011, Il Giornale“Netanyahu sees expansion of ties with China”,24.01. 2012, Reuters UKEmbassy of Israel Beijing, “China Israel Bilateral Trade”,2011Yaakov Katz, “Barak flies to China as Beijing is accused ofhelping Iran”, 12.06.2011, Jerusalem PostNadav Shemer, “Israeli companies target China”,4.01.2012, Jerusalem PostM.K. Bhadrakumar “A dragon dance in the Negev”, 2.02 2012, Asia TimesOnlineShalom Wald & Gedaliah Afterman, “China enters the Middle East”,23.08.2011, Jerusalem Post