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Il fallimento etico delle Femen

Creato il 24 aprile 2013 da Uccronline

Chiudono lo zoo? E si svestono! Approvano una legge non condivisa? E si svestono! E così via. Qualcuno definisce questa pratica come una “modalità di contestazione”, qualche altro la relega a semplice “esibizionismo”, altri ancora parlano iperbolicamente di attivismo politico.

Il nome tecnico di questa iniziativa fondata in Ucraina, che sta prendendo piede anche in Italia, è Movimento di Kiev; fondato dall’economista Anna Gucol nel 2008 a Kiev. Non come alternativa ai calendari di soubrette sexy o volgari (come preferite), di cui siamo inondati settimanalmente; ma come risposta di protesta all’immagine dell’Ucraina riconosciuta all’estero come meta di turismo sessuale . L’obiettivo del movimento è “smuovere le donne in Ucraina, rendendole socialmente attive”; questa  la motivazione ufficiale che il movimento diffonde circa la propria nascita; perchè (svestirsi) “è l’unico modo per essere ascoltate”.

Dunque combattono l’immagine della donna oggetto, denudandosi. Un ossimoro quasi. E allora diventa complicato seguire la logica del discorso. Si presentano nude per non far passare l’idea della donna come merce sessuale. Anticipano il messaggio, in sostanza, verrebbe da pensare. E invece no, stando alla loro filosofia.  Perchè anzitutto sono loro a volerlo, a volersi presentare nude. Ma non perchè si decide di far qualcosa volontariamente se ne cambia il senso, ribadiamo. Si potrebbe addirittura supporre che oltre ad avallare il messaggio che teoricamente starebbero combattendo, lo rendano più facilmente fruibile, perché gratuito. E anche qui, invece, le Femen (femministe ucraine) controbattono di «veicolare ed affermare il corpo, passando da quello spettacolarizzato a quello politico, capace di affrontare la repressione senza timori» con evidente frecciata alle donne dello show televisivo. Si preparano psicologicamente e fisicamente alle loro irruzioni a seno nudo, alla possibilità di essere picchiate dalle forze dell’ordine. E affrontano tutto, impavide; guardando la meta. Certe che il loro corpo debba diventare il mezzo per attirare l’attenzione mediatica. E dunque per portare al mondo la loro opinione.

Le Femen si sono agglomerate in tanti Paesi del Mondo; ma in Italia ancora non riescono ad imporsi perchè ostacolate legalmente; rischiano infatti condanne dai 2 ai 7 anni per manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale oltre che al reato di atti osceni in luogo pubblico. Un fermo di facciata messo dal nostro Paese che, stando alla legge, non consentirebbe “oscenità”. Forse quelle gratuite. L’Italia in genere paga per assistere a queste ultime. A quelle in prima serata, dove donne con qualche centimetro di tessuto indosso, conducono, talvolta anche male, programmi tv o compaiono solo per “rallegrare” la conduzione. Vediamo altri atti di oscenità in parlamento, con donnine elette dopo lunghe gavette su sgabelli, in funzioni decorative all’interno di uno studio televisivo. Tutto gira intorno al corpo femminile; anche le pubblicità più asettiche; anche una mozzarella o un detersivo da acquistare sono possibilmente associati ad un seno nudo o una coscia lunga.

Un vilipendio contro la “dignità delle donne” che neppure più provoca irritazione o sconcerto. Tale infatti la drammatica abitudinarietà con cui assistiamo a tale indecoroso spettacolo, saremmo anzi quasi portati ad elogiare questa nuova “forma di nudismo”; che apparentemente almeno sottenderebbe una motivazione nobile. Poi, per grazia, rinsaviamo. Il nudo non combatte il nudo. La guerra non combatte la guerra. La volgarità non sfuma nel tempo. Il rispetto del proprio corpo non si ottiene scrivendovi sopra che lo vogliamo perchè è prezioso. Si dimostra che è prezioso; preservandolo.

Livia Carandente


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