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Gaston Leroux e Il fantasma dell'Opera
Abbiamo visto, la volta precedente, come Gaston Leroux ne “Il fantasma dell'Opera” ci faccia entrare nella gigantesca architettura di un incubo, dove lentamente ci fa immergere in una rappresentazione di simboli e di archetipi fino a che un’ombra che è passione d'amore e di morte ci accoglie.
Leroux ci guida con le parole attraverso gli ambienti del teatro dell'opera di Parigi dove Erik, l’uomo dal volto di teschio, frutto dell'oscurità, ne orchestra tutte le strutture e gli spazi. Egli, un fantasma mortale, imprigiona, isola la sua amata, Christine Daaé, ma anche il suo rivale, Raoul, per mezzo delle botole, dell’acqua stagnante, della polvere, dei topi e della sua dimora funebre.
I quattro ingranaggi che ho illustrato la volta scorsa funzionano spesso in contemporanea. Vorrei riportare un paragrafo che si trova alla fine della prima parte del romanzo. Per usare i termini della scrittura cinematografica: se questo paragrafo si trovasse in una sceneggiatura sarebbe una “pinza” che porta verso il “punto di non ritorno”, cioè quel momento della narrazione in cui il protagonista acquisisce una consapevolezza della sua realtà da cui non può tornare indietro. Leroux ha scelto l'archetipo dello specchio. Nella realtà uno specchio ha la forma di una porta o di una finestra. Sembra una porta reale e invece è illusoria. Lo specchio è una porta, che sembra rivelare un cammino attraverso cui si accede in qualche luogo.
“Christine andò verso la sua immagine riflessa nello specchio mentre l'immagine si incamminò verso di lei. Le due Christine – il corpo e l'immagine – si toccarono per poi confondersi. Raoul allungò le braccia per afferrarle entrambe, ma uno strano prodigio di luci lo fece barcollare e lo spinse indietro, mentre una ventata fredda gli schiaffeggiò il volto. Egli non vide più due Christine ma quattro, otto, venti, che gli giravano intorno con leggerezza quasi a schernirlo, poi rapidamente si dettero alla fuga e la sua mano non poté toccarne nessuna. In un attimo tutto ritornò immobile e Raoul vide se stesso nello specchio. Christine era sparita. Si precipitò sullo specchio, ma cozzò contro il muro. Non c'era nessuno. Però nella stanza risuonava ancora l'aria 'il destino t'incatena a me per sempre'; era la voce di Erik lontana e appassionata.”
Qui compare anche un altro ingranaggio: la musica. Qui la musica è la voce di Erik, il fantasma, una voce senza corpo, immateriale e sublime che è l'occulta e apparente mancanza del corpo di Erik. La voce gli permette di stare vicino e di avere un amplesso erotico e artistico con Christine, senza essere costretto a mostrare il suo volto spaventoso. Questa voce è il vero fantasma, quella forma che è capace di oltrepassare i muri e le porte chiuse. La voce di Erik è presente anche dove Erik non può arrivare. È la voce che lo rende potente, affascinante e inafferrabile. È con essa che Erik mostra la sua capacità sovrumana di generare, portando alla luce la voce da soprano di Christine.
Il racconto fantastico ha modalità espressive primordiali e universalmente conosciute. Utilizza un linguaggio magico e animistico, che offre all'immaginazione del lettore un grande spazio nel quale elaborare più e più volte i grandi temi della vita. Le paure, i desideri, le invidie vengono innocuamente vissuti nella fantasia, e ci fanno familiarizzare con il nostro mondo interno e stimolano la ricerca dei significati nascosti, permettendoci così di trarre da soli le nostre conclusioni. In accordo con la tradizione junghiana, penso che il racconto fantastico sia una potente forma di comunicazione.
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