Non è che non lo sapessi. Lo sapessi, eccome se lo sapessi. È che poi te li ritrovi davanti, addormentati come tanti angioletti, in pose chiaramente studiate con il capo coreografo della nursery: chi si porta la manina paffutella alla bocca, chi storce le labbra in quello che, non può essere, ma sembra proprio un sorriso e chi fa roteare gli occhietti, come piccoli cuoricini, volutamente al tuo indirizzo. E qualcosa nel tuo marmocchio-pensiero inizia a fare difetto.
Sono lì, con il naso appiccicato al vetro, che cerco di avvistare in quella schiera di guanciotte rosse il nuovo arrivato da cui siamo in visita. Qualcuno accanto a me sospira “Sono una meraviglia, non è vero?”. “Oh se lo sono” rispondo vagamente sognante. “Piccoli angioletti in cerca d’amore e protezione” continua la voce accanto a me “cuccioli che aspettano solo un tuo sguardo, un tuo abbraccio”.
Ho gli occhi lucidi e le farfalle nello stomaco. I miei sospiri hanno appannato l’intero vetro della nursery rendendo praticamente invisibili i marmocchi che dormono beati nelle loro cullette. Mi volto per guardare l’autore di cotanta poesia, ma accanto a me non c’è nessuno. “Chi è stato a parlare?”.
“Io, sono stata io” risponde una vocina. Storco la testa ancora un po’ finchè non la vedo, lì in piedi sulla mia spalla destra. Ha i capelli raccolti, non un filo di trucco e indossa un lungo abito a fiori dal quale sporge un enorme pancione. “E tu chi sei?” chiedo, prima che il panico s’impossessi di me. Ohmiodio! C’ho una gravida in miniatura sulla spalla e ci sto pure parlando!
Mentre son lì che decido da quale lato sarebbe meglio svenire, un’altra voce giunge dalla mia spalla sinistra. Porta un mini tailleur color pesca, mini scarpe col tacco coordinate e sta parlando animatamente ad un mini cellulare. “E tu digli che si fottano. Qui le condizioni le detto io!” e sbatte violentemente il mini flip del telefonino. Poi si porta entrambe le mani ai fianchi e mi lancia uno sguardo imbufalito. “No, dico, che stai facendo? Socializzi con quella megalomane svitata che vive al di là del tuo collo? Ma la senti che sequela di idiozie ti sta rifilando?”.
“Mi permetto di dissentire”, fa la megalomane svitata e panzuta “ma da che mondo e mondo i neonati sono la gioia più grande che esista”.
“Appunto, in quale mondo? Non lo sai che i neonati piangono in continuazione, mangiano come uccellini e cagano come elefanti e sono bisognosi di attenzioni e cure 24h no stop?” ribatte stizzita la piccola manager dalla mia spalla sinistra.
Questo ping pong mi sta procurando un vago senso di nausea. “Perdonate se m’intrometto” provo a prendere una posizione “sì, è vero, i neonati sono impegnativi e faticosi, ma ecco, sanno dare una gioia e un calore che …”. ” Che coooosa?” tuona la piccola Attila in tailleur, mentre dal lato destro qualcuno sghignazza compiaciuto.
“Hai per caso scordato che questo stesso ospedale porta ancora i segni del tuo passaggio? Con i solchi che hai fatto nel corridoio, nel vano tentativo di sopire tua figlia, c’hanno fatto una mini pista per i gokart e nella sala del cambio, dove ti rifugiavi la notte intera mentre il resto del reparto dormiva,e lei invece ululava, hanno esposto una targa in tuo onore. E vogliamo parlare del ritorno a casa?”
“No, no, va bene ho capito“. Mi rivolgo alla mini abitante della mia spalla destra “mi dispiace, sarà per la prossima volta, si riguardi mi raccomando, tante care cose” e puff la donnina panzuta sparisce.
È che far visita ai marmocchi appena sfornati ti annebbia davvero la mente. Come facciano ostetriche e puericultrici a non far figli come conigli pare un mistero. Ti ritrovi a pensare “ma guarda che amore, così piccolo e indifeso…”. Bè, sappi che “indifeso” una volta arrivati a casa dimostrerà una capacità polmonare degna del più grande tenore lirico. Così, giusto per chiarire.
Ma tu stai lì a rimirare dal vetro il più grande spettacolo della natura, mentre la visione romanzata della tua degenza in ospedale ti appare come sul maxi schermo. Poi accanto a te noti due nane intente a smontare l’ospedale. Scuoti la testa in segno di disapprovazione per i genitori menefreghisti e latitanti delle due piccole pesti. Finché un profilo vagamente familiare ti riporta alla realtà. Uno dei genitori menefreghisti e latitanti sei tu.
E insomma il fantasma delle pance future non mi avrà. Non per ora, quantomeno. Ma lancio un appello alle prossime partorienti: fateli brutti sti bambini, o almeno un poco antipatici. Che se vi vengono tutti così bene, poi per forza mi trovo a parlare con le due squilibrate che albergano in me. Non trovate?
Buona pancia a tutte!