Downton Abbey, la serie televisiva inglese in onda su ITV, è un piccolo gioiello. Anzi, nemmeno tanto piccolo se è entrata nel Guinness dei primati come show dell'anno più acclamato dalla critica per il 2011. Ci sono un sacco di dati da assorbire, per potersi fare un'idea delle origini da cui trae linfa e successo questo show in costume di produzione anglo-americana, ma profondamente inglese, che riesce nell'intento di essere compassato e frizzante al tempo stesso, interessante per la storia che narra e attuale per come indaga nei sentimenti umani.Partiamo però dal dato più recente, se non altro per sottolineare come non bisogna parlare di serie TV, e cioè dal servizio andato in onda qualche giorno fa sul canale di Repubblica TV, in cui, raccontando dell'ultimo episodio della terza stagione, si è dato uno spoiler colossale, spifferando in sostanza la fine della storia. Una operazione malaccorta se non perfida questa, tenendo conto che in Italia gli spettatori hanno potuto vedere ancora solo la seconda stagione, con la speciale puntata natalizia finale, andata in onda il 26 dicembre su Italia Uno. Si può comunque confidare: la quarta stagione sarà in produzione già da febbraio.
Downton Abbey narra dell'intreccio di esistenze fra la famiglia di Robert Crawley, VI conte di Grantham, e la servitù che abita i piani bassi del sontuoso palazzo di famiglia. Le riprese sono ambientate nella bellissima dimora edoardiana di Highclere Castle e di questa anche poi vogliamo parlare, perché la sua bellezza e la sua imponenza sono componenti importanti del fascino di questa serie. Infatti l'esistenza delle persone legate a luoghi come questo è stata per secoli in qualche modo condizionata dalla “gloria” che un'istituzione simile porta con sé.
La severa divisione sociale fra la nobiltà e la servitù è quello che maggiormente spicca, nel primo approccio a questa serie preziosa: la nostra mentalità di moderni trova semplicemente inaccettabile, in nome della democrazia, che vi debba essere una differenza così profonda fra chi ha la ventura di nascere ai piani alti di una dimora simile e chi invece è destinato ai piani bassi.
Ai piani bassi è fra l'altro il titolo di un romanzo che può aver parzialmente ispirato questo show, un testo autobiografico – ripubblicato di recente da Einaudi in cartaceo e in e-book – scritto da Margaret Powell, una donna inglese classe 1907 che a quattordici anni ottenne un posto nella lavanderia di un albergo, e l'anno dopo fu assunta come aiuto cuoca in una residenza londinese. La pubblicazione nel 1968 del suo primo libro di memorie, Ai piani bassi appunto, fu un immediato successo. Morì nel 1984, lasciando un cospicuo patrimonio. Nella sceneggiatura della serie, invece, si focalizzano alternativamente e “paritariamente” le vicende personali e familiari di questo gruppo ampio di persone che ritengono una vera e propria vocazione portare avanti e perpetuare il prestigio di un nome e di una casata. Portatori di questa istanza sono soprattutto Lord Grantham, bellissima figura di Lord inglese, e il maggiordomo Carson, patriarchi indiscussi della magione. In verità non così indiscussi, se il buon senso, la saggezza e l'intuito delle matriarche non intervenisse molto spesso a correggere il tiro. Cora, la moglie americana del Lord, Lady Violet, la maestosa contessa madre, e Mrs Hughes, la governante di casa, affiancano, e a volte elegantemente soppiantano, il dominio maschile.
La separazione degli ambiti di classe è sacra e, in linea teorica, mai messa in discussione dai protagonisti. O meglio, quando la distinzione sociale viene sfidata, questo avviene solo per dimostrare la sua fondatezza, ma anche, in qualche modo, per rimarcare la sua duratura inconsistenza. In questo senso brilla il profondo rispetto che i nobili hanno della servitù ad esempio del maggiordomo Carson che viene ascoltato attentamente dallo stesso Lord Grantham e che nutre sentimenti paterni per la primogenita, Mary. Questo profondo rispetto reciproco, innervato dell'orgoglio di svolgere con competenza e opportunità le mansioni affidate dal destino, è l'aspetto forse più accattivante di questo inconsueto rapporto. Nel segreto delle camere dei nobili avvengono i dialoghi fra loro e i loro camerieri personali, in cui le distanze vengono sia mantenute sia distrutte, in una maniera che spiazza la nostra mentalità moderna. La servitù tutta considera un onore assolvere i propri compiti nel modo più consono possibile e l'etichetta che disciplina tutti i rapporti: è un limite e un diritto da entrambe le parti.
L'eccezione che valorizza e conferma la regola è proprio il rapporto che nasce fra la giovane Sybil, la dolce ultimogenita del conte, e l'autista Branson, irlandese e socialista. La modernità irrompe nella rigida disciplina dei rapporti quando i due si innamorano, osteggiati dai piani alti (ovviamente) e dai piani bassi. L'ansia di giustizia di Sybil e la sua tendenza a un’idea romantica dell'amore incontrano la passione dell'idealista Branson per l'indipendenza del suo paese. Alla fine la struttura sociale gerarchica trova le risorse di elasticità, affinché il sistema non si rompa, proprio nell'affetto. Lord Grantham ama teneramente questa figlia, quella più dolce e anche la più insofferente delle restrizioni che i doveri di casta impongono. Anche nell'ala abitata dai domestici Sybil è la beniamina, lei tanto appassionata nel sostenere i diritti delle donne. Branson, così, diviene simbolo del nuovo che viene accolto dal vecchio. La storia tutta di Downton Abbey, infatti, trova il suo fascino nello svelare il segreto dell'Inghilterra, un luogo particolare, dove le più antiche tradizioni e la passione per la libertà, la democrazia, il nuovo, sono sempre riusciti a convivere in un equilibrio talmente particolare da risultare unico. Un sistema in cui rigidità ed elasticità si bilanciano fra regole ed eccezioni alle stesse.
Che questo sia il tema di fondo lo dimostra anche la vicenda di base della prima stagione, quando il giovane avvocato borghese Matthew Cawley, dopo l'affondamento del Titanic in cui muoiono i legittimi eredi di Lord Grantham, diventa l'erede della tenuta e del titolo. Lo scandalo di uno sconosciuto che debba subentrare a Downton e l'estraneità dei costumi borghesi rispetto alla vita codificata della nobiltà – in cui è d'obbligo che un valletto ti debba aiutare a vestirti anche se potresti farlo tranquillamente da solo – si stemperano nell'amore che nasce fra Matthew e Mary, dopo i dovuti e tragici ostacoli. Mary è un personaggio interessante, perché è apparentemente classista, arrogante e piena di pregiudizi, eppure nasconde, sotto la crosta di tipica nobildonna inglese, un'umanità vibrante che sarà esaltata nella sua sofferenza d'amore e anche dalla crescita che la sceneggiatura le riserverà. Matthew, con la sua mentalità liberale e pragmatica, viene accettato e, con i suoi metodi amministrativi moderni e lungimiranti, consentirà la sopravvivenza della mastodontica tenuta (anche qui i simboli del sincretismo inglese abbondano).

Di fatto la storia, quella vera, è protagonista in Downton Abbey: dopo il trauma dell'affondamento del Titanic, avvisaglia profetica dei disastri novecenteschi, la prima guerra mondiale travolge le vicende di tutti, col profondo dolore e con i traumi che ha apportato all'Europa e anche con le novità “sociali” come il nuovo ruolo delle donne. Nella serie la rivoluzione femminile è raccontata anche con la figura della secondogenita Edith, che, nel tempo del conflitto, guida il trattore in assenza di uomini che sappiano farlo o con Sybil che fa l'infermiera nell'ospedale militare dove affluiscono numerosi i reduci. Le giovani ladies conoscono la durezza e l'emancipazione del duro lavoro.




Tutto questo sfondo storico rende Downton Abbey non solo una riuscita serie televisiva, ma un evento che porta a riflettere sull'incredibile storia britannica, venata di grandeur, lungimiranza ed elasticità, incorniciata, in questo 2012 ormai trascorso, anche dall'esperienza delle Olimpiadi, e sulle risorse dell'allure inglese, che s'aggrappa al vecchio, accoglie il nuovo e accetta il salutare stress di rinnovarsi sempre. In fondo, Elisabetta II ha recitato con James Bond, giusto?






