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Il film e il libro, l'occhio e la mente, e il finale
Solo recentemente mi è capitato di leggere un grande classico della letteratura: Siddharta. Per un motivo o per l'altro quel libro mi era sempre sfuggito, e ogni volta che qualcuno entrava nella discussione circa la grande opera di Hermann Hesse ero costretto a glissare dicendo di non averlo mai letto. Parlando in seguito con alcune persone, mi sono stupito del fatto che ognuna di loro mi avesse detto: “Ma com'è che finiva? Non ricordo...”. Tutti ricordavano la trama, ma nessuno sapeva riferire dell'incontro conclusivo tra il saggio Siddharta e il suo ritrovato amico Govinda, incontro nel quale, attraverso l'eloquente monologo del primo, il secondo arriva a capire di trovarsi di fronte niente di meno che al Buddha.
A partire proprio dalla frase “Ma com'è che finiva?” si potrebbe avviare una profonda riflessione sulla fine di un libro, dibattendo sulla reale importanza delle ultime pagine. Molto spesso dimentichiamo infatti come una storia si è conclusa, tanto ci hanno colpito la caratterizzazione dei personaggi, la suggestiva ambientazione del romanzo, lo stile narrativo o quant'altro. Se vogliamo adesso paragonare la lettura di un libro alla visione di un film, non possiamo fare altrimenti che notare quanto in una pellicola, invece, il finale rivesta una importanza fondamentale. Di molti film non ricordiamo altro che lo sconvolgente e inatteso epilogo, se non addirittura soltanto l'ultima scena. Altre volte ci rimane ben impresso un finale per niente originale, anzi scontato e prevedibile, ma quell'immagine, che recepiamo passivamente, persiste nella nostra memoria per lungo tempo perché magari è proprio il finale a cui volevamo assistere. Nel libro, al contrario, siamo noi che componiamo l'immagine in maniera attiva e la destrutturiamo a piacimento, per poi ricomporla in altre forme. È la descrizione più o meno approfondita di un luogo, un personaggio o una situazione che ci fa creare quell'immagine esattamente come noi vorremmo che fosse.
È ovvio che è forte l'influenza visiva del film, soprattutto perché oggi molte persone leggono un libro solo dopo averne visto la trasposizione cinematografica. Non mi soffermerò più di tanto sul fatto che molto frequentemente film e libro non coincidono, per il semplice motivo che non possono e non potranno mai coincidere. Si può facilmente liquidare la questione dicendo che si dovrebbe parlare piuttosto di trasposizioni abbastanza fedeli (comunque mai al cento per cento) o all'opposto di film liberamente ispirati all'opera letteraria. È la differenza tra l'occhio e la mente quella su cui mi interessa insistere. L'occhio ha bisogno di essere saziato subito, e per questo si affida alle scene di un film. Lascia poi la mente alle elaborazioni personali, ma spesso solo dopo i titoli di coda.
Nel caso di un libro, invece, la mente richiede di essere nutrita a poco a poco e nello stesso tempo di dare spazio all'immaginazione. Nel film dunque l'occhio è iper-vigile e pone estrema attenzione a ciò che succede sullo schermo, chiedendo alla mente di aspettare. I più curiosi e impazienti danno avvio a una serie di supposizioni o previsioni circa l'evolversi della storia, è vero, ma la mente in questo caso è schiava dell'occhio, perché solo lui potrà dirci come andranno le cose. Nel libro ogni parola, frase, periodo, paragrafo o capitolo può dare inizio a un processo immaginifico che è indipendente dal finale. Ecco perché di frequente ci dimentichiamo come termina un romanzo: la mente è così impegnata a costruire immagini che non ha esigenza di scoprire come si conclude la narrazione. Il finale diventa perciò un semplice corollario della storia. Concluderei con una frase che potrebbe esemplificare il concetto: “Se un bel finale può riscattare un brutto film, un libro scritto male non potrà essere rivalutato neanche dal più straordinario dei finali”.
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