Decise a non attirare l’attenzione, le mafie si annidano là dove meno te lo aspetti. E’ una questione di sopravvivenza e di affari.
E così accade che la criminalità organizzata decida di muoversi lungo la penisola, allontanandosi dai luoghi d’origine. Dai luoghi che l’immaginario collettivo accosta alle mafie, come Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. E lo fa per un motivo e con uno scopo: depredare nuovi territori.Si rende perciò necessaria una presa di coscienza da parte della società civile e lavori come quello condotto da Luisa Laurelli ne Il Filo rosso della Legalità danno un forte contributo alla causa, offrendo “tanti spunti alla politica e al mondo dell’economia ma anche ai cittadini”.
“Il Filo rosso della legalità – ha detto Laurelli a T-Mag – si compone di diverse interviste che ho curato per la rivista online Turboarte, nelle quali si parla di tanti temi dalla politica all’economia, al futuro dei giovani, al funzionamento delle istituzioni, e alla crisi di funzionamento del nostro sistema democratico che vediamo piuttosto in difficoltà.
Nella mia parte – ha spiegato – testimonio la presenza delle mafie nel territorio laziale e offro anche la fotografia del perché il consiglio regionale del Lazio è stato sciolto anticipatamente. A causa di una cattiva gestione dei fondi regionali e sembrerebbe di un’appropriazione indebita di questi ultimi. Tutto questo dimostra come l’illegalità sia diffusa anche dentro il consiglio regionale del Lazio”.è una raccolta di interviste a personalità molto importanti dal procuratore Luigi De Ficchy, capo della Procura di Tivoli, a realtà del mondo del sociale. Ci sono anche interviste fatte al garante dei diritti dei minori, Franco Alvaro, e al garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni”.
La criminalità organizzata ha quindi trovato spazio sul territorio laziale, ma questa situazione non può durare in eterno. La politica deve reagire, “la prima cosa da fare – suggerisce Laurelli a chi si siederà nel prossimo Consiglio regionale del Lazio – è mettere in attività l’Abecol, agenzia per l’utilizzo dei beni confiscati alle mafie, che è stata istituita con la legge regionale votata all’unanimità nel mandato di Marrazzo, quindi quando io ero consigliera regionale, e che l’amministrazione Polverini ha completante congelato. Questo – spiega – permetterà di gestire oltre 500 beni sottratti alle mafie e da destinare alle tante associazioni impegnate nel sociale che hanno già fatto richiesta ormai da anni. Chiederei poi di rivedere tutto l’impianto legislativo della Regione lazio e nei primi cento giorni di azzerare e cancellare tante leggi che sono ormai superate ed obsolete. Per presentare poi invece leggi innovative e più importanti. Una legge che presenterei immediatamente è quella che permetta la doppia preferenza uomo/donna anche alle elezioni regionali, un’altra è quella per la riforma di servizi socio assistenziali che presenterei insieme alla nuova legge sugli appalti. Interverrei poi sulla dirigenza della Regione Lazio che è composta da un numero enorme di persone spesso non professionalizzate o professionisti che non sono mai stati valorizzati, per restituire trasparenza e dignità ad un’istituzione come la Regione Lazio. Una regione non ha il dovere di gestire i soldi dei cittadini, i soldi – sostiene – dovrebbero essere destinati ai comuni per progetti fatti da amministratori più vicini ai territori e ai bisogni della gente. La regione deve fare attività di prevenzione nei confronti dell’infiltrazione di mafia sul territorio”.
La lotta all’illegalità non deve conoscere confini territoriali né tantomeno deve riguardare una sola parte della società. Indipendentemente dal proprio ruolo o occupazione, ognuno di noi deve offrire il proprio contributo per contrastare un fenomeno che se verrà lasciato libero di agire si espanderà sul territorio a macchia d’olio. Naturalmente, la classe politica deve esporsi in prima linea e il primo passo è riconoscere che la criminalità organizzata si è insediata anche in nuovi territori. “Prima c’era un atteggiamento abbastanza diffuso nel negare i fenomeni mafiosi sui proprio territori, perché – ha spiegato Laurelli – di fronte al proprio elettorato è come confermare l’incapacità di governare un fenomeno grave. La gente sa che dove sono presenti le mafie, i territori vengono completamente depredati e l’economia da sana rischia di diventare completamente illegale, quindi si teme il giudizio dell’elettorato.
A parer mio invece riconoscere certe presenze vuol dire approfondire certi fenomeni, vuol dire collaborare con le forze dell’ordine, con le prefetture e la magistratura. Vuol dire mettere insieme atti e fatti, vuol dire individuare quell’unico filo che li collega, analizzare l’entità dei fenomeni: Dopo di che ognuno deve fare la propria parte, condurre azioni o di prevenzione o di contrasto. Nessuno si può tirare fuori da questo problema, tutti noi dobbiamo essere coinvolti, anche il cittadino”.
(Anche su T-Mag)