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Che di questi tempi così grami ci si interessi e ci si debba interessare dei destini e delle fortune di un uomo di un saltimbanco, nel senso di uomo di spettacolo, e del suo programma televisivo fa, sinceramente, pensare che non siamo tutti proprio normali, ma tant'è: l'attenzione su Fiorello e il suo "Lo spettacolo più grande dopo il week end" e le polemiche sulle critiche che gli sono state rivolte e sulle sue reazioni non sempre carine, o meglio quasi mai, nei confronti dei suoi critici non si placano e continuano anzi a crescere, neanche lo shoman di Augusta fosse in lizza per un posto da sottosegretario nel nuovo governo Monti.
Questo dovrebbe però confermare quanto sia importante nella vita delle persone ritagliarsi uno spazio di tempo per giocare, staccando la spina dalla vita e dai problemi di tutti i giorni, e per questo mi sembrano fuori luogo le critiche di quanti rimproverano a Fiorello la mancanza di contenuti politici nei suoi discorsi alle folle (ben 12 milioni e mezzo di italiani per sera).
Non riesco a comprendere perché si vuole insistere a voler forzare un artista a fare cose che non ha nelle sue corde, rischiando solo di fargli rovinare pure quello che gli riesce di fare bene, come lo scrittore Fulvio Abate che ancora ieri dal suo blog sul sito de Il Fatto Quotidiano chiedeva allo showman siciliano di fare un "atto di coraggio" e invitare nel suo programma Daniele Luttazzi, che evidentemente in un programma come quello di Fiorello farebbe la figura del cavolo a merenda (senza voler entrare nel merito del valore del satirista desaparecido). Perché è evidente a tutti che Fiorello non fa satira, non l'ha mai fatta e mai la farà, ma ha riportato in prima serata televisiva il varietà classico, quello degli anni 60 dello scorso secolo, eppure continuano a chiedergli di innovare un canovaccio che così com'è funziona benissimo.
Tuttalpiù, se proprio vogliamo trovargli dei difetti, si potrebbe sottolineare che non è così raffinato come gli attori del passato ai quali viene spesso paragonato, come Walter Chiari, perché è evidente che Fiorello non ha alle spalle la gavetta che quelli fecero nei teatri di varietà, che non esistono neanche più, ma si è formato nei gruppi di animazione dei villaggi vacanze e questa sua origine da caciarone organizzato ogni tanto torna in superficie: quelli erano attori, oltre che comici, cosa che è difficile dire per Fiorello, che già ha fatto un miracolo ad evolversi da presentatore del Karaoke a one man show televisivo.
La critica che nello spettacolo manchi "il messaggio" da portare alle masse è pertanto da ignorare, che tanto sono molti a raggiungere il successo portando il messaggio, e senza far nemmeno ridere, cosa che dovrebbe essere essenziale per un attore comico.
Pure deve essere ignorata la critica vendicativa, quella cioè originata dai comportamenti discutibili del "divo" Fiorello, che ha escluso preventivamente dal pubblico alcuni giornalisti sgraditi, e qui si dovrebbe affrontare tutto il grande problema del rapporto tra il critico e l'artista criticato, analizzato in ponderosi tomi da studiosi di psicanalisi nel corso degli ultimi due secoli: se un critico vuole essere credibile deve sempre e comunque esprimere un giudizio sereno, oggettivo e, in qualche modo, scientifico sulla realtà che va a giudicare. Sarebbe addirittura auspicabile che non abbia rapporti di conoscenza, figuriamoci poi di familiarità, con gli artisti soggetti alle critiche, per non rischiare poi di essere accusati di essere parziali con gli amici e severi con gli altri e sfuggire alla nota definizione di artista mancato e frustrato che tutti i critici prima o poi riceveranno, con la massima del: "chi sa fare fa e chi non sa fare insegna".
Come lo stesso Pippo Baudo, padrone di quello spazio per anni, ha confermato in un intervista a L'Espresso in edicola questa settimana, Fiorello ha riportato, ma già lo aveva fatto Giorgio Panariello col suo proprio stile, il varietà tradizionale su Rai1, che è la sua casa naturale, come dimostra l'ascolto raccolto in queste prime puntate, e che è quello l'ideale disegno estetico della rete, per ripetere l'espressione che il giornalista di "Metro" Mariano Sabatini (che ringrazio per il link a Lettera43), che non è per niente oscuro e che ho scoperto essere invece pure simpatico, ha usato rivolgendosi al neo direttore de La 7 Paolo Ruffini, esortandolo giustamente a cercare di non ripetere sulla nuova rete il modello Rai3, ma a trovare una sua identità caratteristica, magari cercando nuove facce e nuovi autori (sempre dimenticati mentre sono importantissimi).
Lasciamo dunque questi 12 milioni e mezzo di italiani rilassarsi un paio d'ore davanti alla tv in santa pace, che ormai siamo lontani anni luce dai tempi della mono offerta della Rai e canali dove trovare lo spazio per dare "messaggi" alle masse e per sperimentare nuovi programmi ce ne sono tanti.
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