Il flavio nella manica - (Travaglio su flavio Briatore)
Creato il 17 ottobre 2012 da Funicelli
Noi che seguiamo con trepidante apprensione le mosse disperate del nostro amato Silvio accogliamo con sollievo ed esultanza l’ultimo retroscena svelato da La Stampa: “Il Cav progetta di candidare una folla di imprenditori” e “pare abbia già strappato la disponibilità di Flavio Briatore”, anche lui “contagiato dalla voglia di dedicarsi alla cosa pubblica”. Era ora. Briatore è proprio quel che ci vuole, anche in vista del “rinnovamento morale” auspicato tanto da B. quanto da Dell’Utri. Preveniamo l’obiezione dei soliti malpensanti: ma Briatore è lo stesso che è indagato a Genova per contrabbando e violazione delle accise sul carburante del suo yacht, ovviamente sequestrato? Certo. Ma proprio qui sta il rinnovamento: nessun politico finora era stato inquisito per contrabbando e violazione delle accise. Briatore andrebbe a colmare il vulnus che privava i contrabbandieri della necessaria rappresentanza. E anche, in un colpo solo, per quella dei biscazzieri e dei truffatori. Pochi ricordano che nel 1984, a soli 34 anni, il giovine Flavio, diplomato ragioniere con una certa fatica nella natia Verzuolo (Cuneo), fu insignito di due mandati di cattura dai giudici di Milano e Bergamo per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, cui agilmente si sottrasse fuggendo ai Caraibi. In quel periodo, dopo gli esordi come portaborse di un imprenditore cuneese (ramo vernici) poi tragicamente saltato in aria nella sua auto, Briatore si arrabatta come assicuratore, maestro di sci e consulente tuttofare in piazza Affari a Milano del conte Achille Caproni (quello degli aerei), ma anche come agente discografico per la Zanicchi e soprattutto giocatore di carte nelle bische clandestine. È lì che s’intruppa in un’allegra brigata di “spennapolli”, specializzata nel reclutare facoltosi “clienti” invitandoli a cene luculliane con la scusa di trattare mirabolanti affari del tutto immaginari o discutere di inviti in tv con Fede. Dopo il caffè partiva l’idea di una “partitella” (ovviamente truccata) a poker o chemin de fer per spennare la vittima di turno e alla fine spartirsi il bottino: centinaia di milioni di lire a botta. C’erano il conte vero, Caproni, il finto marchese Azzaro, un avvocato da feuilleton, Adelio Ponce de Leon, il vicedirettore del Tg1 Emilio Fede, alcuni cazzari brianzoli che si spacciavano per generali venezuelani, sceicchi arabi, emiri kuwaitiani, ammiragli egiziani, armatori greci. In quella che il giudice istruttore di Bergamo chiama “la banda dei bari”, il ruolo del geometra Flavio è decisivo: aggancia i polli, mette a disposizione il suo lussuoso quanto pacchiano appartamento in piazza Tricolore e “porta una borsa o valigia con gli attrezzi del gioco (carte e sabò truccati) nella casa prefissata”. “Il gioco d’azzardo – aggiunge il giudice – è terreno esclusivo della criminalità organizzata” e “l’ipotesi che gli imputati abbiano ottenuto l’assenso, l’appoggio o la protezione dei clan della malavita organizzata ha trovato parziale riscontro. Sono infatti emersi rapporti del Briatore con Tony Genovese”, boss italoamericano, e di altri imputati con Saro Cattafi e con Enea, Monti e Virgilio, la triade della mala milanese. Alla fine, diversamente da Fede (assolto per insufficienza di prove), Briatore si becca in primo grado 3 anni a Milano e 1 anno e mezzo a Bergamo. Ma non fa un minuto di carcere: poco prima dei mandati di cattura è volato a Saint Thomas, Isole Vergini. E lì ha trovato il modo di trasformare in oro anche la latitanza, aprendo alcuni negozi per Benetton, che poi lo lancerà nel mondo della Formula 1. Intanto in Italia lo salva la solita amnistia del 1989. Ce n’è abbastanza per diventare un top manager. E ora magari un politico, un tecnico del “bene comune”. Che gli manca?
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