Il mio fruttivendolo è passato dall’Ape Piaggio (la lapa, in dialetto) al pick-up. È stata una cosa sconvolgente.
Lui ha una sessantina d’anni, è basso, tarchiato, con pochi capelli e la pelle scottata dal sole. Si chiama signor Pippo e il fruttivendolo è l’unico mestiere che abbia mai fatto.
Arrivava sotto casa, col suo megafono incorportato alla lapa, e cominciava a urlare dentro al microfono: parole incomprensibili, ma inconfondibili. Era lui, la frutta era fresca, signore scendete ché fate la spesa con qualche migliaio di lire e due limoni sono sempre in regalo.
Il signor Pippo ha sempre gli stessi jeans e sempre la stessa polo azzurra, non parla una parola d’italiano e ha le mani callose, abituate come sono a tirare giù cassette piene di pere, e mele, e carciofi, e fiori di zucca, e banane, e cocomeri, e fragole, e arance.
Quand’ero bambina, non vedevo l’ora che arrivasse coi gelsi raccolti in mezzo alla sciàra. Si vedeva proprio che quei gelsi là li aveva presi lui, con le sue mani, che li aveva rubati dalla strada, perché quando arrivava portandoli come un trofeo aveva sempre la polo tutta sporca di rosso e di sterpaglie che gli rimanevano attaccate addosso. Ma i suoi gelsi, diceva lui, erano i migliori di tutta Catania, ci potevi fare la granita che veniva fuori come se l’avesse fatta dio con le sue mani, e li potevi mangiare anche così, senza lavarli, perché tanto erano puliti, ché le cose dalla terra nascono pulite, diceva il signor Pippo, e sono le porcherie delle persone a sporcarle.
Diceva sempre che sembravo una bambola, perché Madre prima che andassi all’asilo mi portava con sé praticamente ovunque, pure quando scendeva davanti al portone per comprare la frutta. Il signor Pippo mi dava un pizzicotto nella guancia, con le sue mani ruvide e odorose di pesche, e domandava a Madre come aveva fatto a farmi così di porcellana. Poi mi regalava una nespola, perché le nespole mi piacevano un sacco, ma prima di darmela in mano controllava bene che non fosse bucata, che non ci fossero vermi dentro, insomma.
Io all’epoca pensavo che fosse gentile, adesso guardando le foto di quegli anni capisco che gli parevo finta perché ero pallida come un fantasma e avevo le occhiaie scolpite nella cera, come Mercoledì della famiglia Addams.
Mi ha letteralmente vista crescere, il mio fruttivendolo. E, sotto un certo punto di vista, mi ha pure fatta crescere, lui che teneva da parte per Madre le arance migliori per farci la spremuta da propinare per merenda a me, Sorella e Fratello.
Qualche giorno fa, uscivo di casa per andare a lavorare e l’ho incrociato. Ci ho messo un po’ a riconoscerlo, anche perché il pick-up non gli dona. Mica è la lapa che ha riempito il mio immaginario per anni e che tutt’ora sogno di guidare. È un normalissimo pick-up, un pick-up all’americana, che come ha fatto a pagarselo vendendo frutta nelle stradine di un piccolo quartiere di Catania lo sanno solo i milioni di scontrini che non ha mai fatto, nei ventun anni (almeno) che fa il mestiere che fa.
Non saprei dire perché, ma ho provato un moto di rabbia. Immagino che lui, il signor Pippo, sia contentissimo, sono certa che il pick-up sia molto più comodo della desueta Ape Piaggio, senza servosterzo e con lo sportello rotto tenuto da un filo di spago. Però, ecco, non riesco a essere contenta per il miglioramento delle sue condizioni di lavoro. Il mio unico pensiero è che quella lapa chissà che fine ha fatto, come la sciàra dentro la quale lui raccoglieva i gelsi e in cui adesso non si può più perché adesso si chiama terreno edificabile.
(Cara Tiziana, lo so che era da più di un mese che non scrivevo niente. E probabilmente se tu non me l’avessi fatto notare sarebbe passato ancora un po’, perché sono pigra e m’è preso il vizio di lasciare le cose a se stesse, pensando che si possano alimentare da sole di bei ricordi e robe vecchie. Ma hai fatto bene a richiamarmi, a tirarmi le orecchie, perché le pagine vanno nutrite, come le persone e i rapporti, ugualeidentico. Quindi, ecco, la prossima volta che mi dimentico che c’è questo posto qua, se leggere ciò che ci scrivo ti piace, rimproverami, grazie. E rimproveratemi pure tutti voi che mi seguite: ho la testa dura, mi fa bene, di quando in quando, che me la si sbatta contro un muro.)
(E sì, Dears mie belle, ogni riferimento nella mia parentesi qui sopra ad altri fatti realmente accaduti è voluto. Volutissimo.)