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Il futuro del Partenariato Orientale ed il ruolo della Polonia

Creato il 21 agosto 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Antonio Scarazzini  Il futuro del Partenariato Orientale ed il ruolo della Polonia Non c'è dubbio – ed è lo stesso Herman Van Rompuy ad averlo riconosciuto in una comunicazione dello scorso marzo – che la Primavera Araba abbia distolto l’attenzione da ciò che accadeva al di fuori dell’area mediterranea, obbligando a riconsiderare le ragioni della proiezione esterna dell'UE. Sfruttando l'occasione fornita dai turni di presidenza del Consiglio UE di Ungheria, sino allo scorso giugno, e Polonia, in carica dal primo luglio, l'Unione Europea ha l'occasione di rilanciare la branca orientale della Politica europea di Vicinato (PEV), cercando di colmare la scarsa capacità di intervento mostrata nei confronti delle debolezze strutturali del Nord Africa e del Vicino Oriente. Cooperazione economica, quindi, e rafforzamento del mercato unico combinato ad una maggiore partecipazione della società civile nelle politiche di sviluppo sono, infatti, le priorità che il governo polacco ha imposto per il suo semestre di presidenza. Cavalcando una fase di stabile crescita economica e di entusiasmo europeista, la Polonia rappresenta – anche per una sorta di solidarietà verso paesi dell'ex URSS – uno dei soggetti migliori per risvegliare l'efficacia del Partenariato Orientale che prese vita al Summit di Praga del 2009, istituendo una nuova forma di cooperazione economica e socio-culturale con Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Moldavia, Georgia ed Ucraina. Lo stato delle relazioni fra Bruxelles e l'area del Caucaso del Sud rappresenta, infatti, uno dei termometri migliori per rilevare l'efficacia della politica estera europea, cui il Trattato di Lisbona ha fornito un nuovo servizio per l'azione esterna (EEAS), oltre i confini orientali laddove gli interessi strategici euroasiatici – ed i possibili attriti con la Russia – si fanno più intensi.
La revisione della PEV e il rafforzamento del Partenariato Orientale
L'inserimento del rilancio del Partenariato Orientale nel programma del semestre di presidenza polacco segue di poche settimane la comunicazione congiunta di Commissione e Alto Rappresentante "A new response for a changing neighbourhood": un'evoluzione della PEV che tiene conto tanto dei progetti di riforma iniziati nel 2010 quanto dei mutamenti prodotti dalla Primavera araba. La necessità di una maggiore flessibilità e di una sensibile differenziazione negli approcci verso i vari Paesi sono le priorità della proiezione esterna dell'UE, che proprio sul fronte orientale ha ottenuto i maggiori successi nello sforzo di stabilizzazione e securitizzazione dei propri confini. Nel dialogo con i partner dell'Est Europa e del Caucaso del Sud hanno infatti trovato risalto le norme di good governance ed una crescita economica stabile e sostenibile, i principi ispiratori di un processo che ha come obiettivo il raggiungimento dell'Accordo di Associazione con l'Unione Europea che, sulla base dei Piani d'Azione stipulati per ciascun Paese, offre un vasto framework di norme legali ed economiche cui è possibile adeguarsi per progredire verso l'integrazione nel sistema UE. L'adattamento ai principi di governo democratico e l'integrazione nel mercato unico continuano quindi a rappresentare i grandi obiettivi di un progetto che, privato della prospettiva della futura membership europea, sembra più corrispondere alle necessità di sicurezza europea più che alle esigenze di sviluppo dei Paesi confinanti. Per mitigare questo fattore di criticità la strategia di rafforzamento del Partenariato mira ad integrare la dimensione commerciale ed economica con le cosiddette "Flagship Initiative", sei aree di cooperazione che agiscono sulla base dei rapporti bilaterali fra UE ed i Paesi coinvolti, volte al potenziamento delle competenze dei singoli Stati in materia di controllo delle frontiere, incentivi alle piccole-medie imprese, liberalizzazione del mercato dell'energia ed incremento nell'utilizzo delle fonti rinnovabili, governance ambientale, prevenzione e risposta a calamità naturali o disastri provocati dall'uomo. La cooperazione settoriale risulta particolarmente efficace nello stimolare riforme laddove sono maggiori le distanze dagli standards europei: è il caso delle riforme attuate nel settore giudiziario in Moldavia, Georgia ed Azerbaijan, o della nuova legge che regolamenta il mercato del gas in Ucraina.
Le maggiori potenzialità rimangono tuttavia a favore della politica commerciale, laddove la Commissione può esercitare maggiore influenza in forza di strumenti finanziari che coinvolgono anche altre istituzioni europee come la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) o la Banca Europea per Ricerca e Sviluppo (BERS). La membership nell'Organizzazione Mondiale del Commercio e la conclusione dei negoziati per l'istituzione di una "Deep and Comprehensive Free Trade Area" (DCFTA) divengono componenti fondamentali per l'accesso al complesso politico-economico europeo: tra i partner orientali, la sola Ucraina ha sinora avviato i negoziati per la stipulazione di un DCFTA da inserire nell'Accordo di Associazione, arrivando a prospettare la conclusione delle trattative entro il 2011, dopo il buon esito dell'ultimo round negoziale (dicembre 2010) sia nel campo della cooperazione economica (31 settori che coprono la maggioranza degli ambiti produttivi e finanziari) che del dialogo politico-istituzionale (gestione delle crisi, sicurezza, controllo traffico armi, controllo frontiere, riforma sistema giudiziario, misure anti-corruzione). Tra Gennaio e Luglio 2010 hanno avviato i negoziati per l'associazione anche Armenia Azerbaijan Georgia e Moldavia, raggiungendo in breve tempo progressi significativi e mostrando, contemporaneamente, una certa disomogeneità nelle condizioni di approccio al negoziato in relazione alle diverse condizioni socio-economiche interne. Il rinnovamento del Partenariato passa, inoltre, per l'attivazione di canali di finanziamento che tra il 2010 ed il 2011 hanno inaugurato nuove linee di credito per sostenere programmi di sviluppo e riforme strutturali: i 600 milioni di euro stanziati nel periodo 2010-2013 dallo European Neighbourood Policy Instrument (ENPI) a favore del Partenariato sono, infatti, diretti al finanziamento di progetti di institution-building (Comprehensive Institution Building-CIB) ed al supporto della dimensione multilaterale del dialogo orientale, articolato su una serie di tavole tematiche (trasporti, energie, lotta alla corruzione, riforme sistema giudiziario). Ultimi interventi in ordine di tempo i 19 milioni di euro destinati all'Armenia per riforme istituzionali, che vanno a sommarsi ai 30 milioni stanziati per supportare l'Ucraina nell'ultima fase dei negoziati per l'Associazione.
L'Europa ed i benefici dell'apertura ad Est: gli obiettivi della presidenza polacca per il Partenariato Orientale
Protagonista del grande allargamento del 2004, in cui ben dieci Paesi dell'Europa Centro-Orientale fecero il loro ingresso nell'UE, la Polonia ha ben chiari rischi e opportunità dell'estensione verso Est dei confini europei. La "cerchia di amici" che l'allora Presidente della Commissione Romano Prodi aveva definito necessaria per stabilizzare i fattori di crisi ai bordi dell'Unione, sulla scia della prima grand-strategy presentata nel 2003 da Javier Solana, ha portato alla costruzione della PEV come strumento per la diffusione dei valori democratici verso i partner coinvolti: se per i PECO e gli altri Paesi ex-URSS tale approccio ha rappresentato un'efficace strumento per completare la transizione verso l'economia di mercato e lo Stato di diritto, nel Mediterraneo e nel Nord Africa esso ha mostrato come la ricetta di aiuti economici fondati su clausole di condizionalità democratica debba rendersi flessibile alle situazioni di ciascun Paese.
Il programma della presidenza polacca evidenzia, infatti, come la stessa Unione Europea possa trarre benefici, sia economici che politici, da una progressiva apertura verso i Paesi coinvolti nel Partenariato puntando sull'approfondimento delle relazioni bilaterali e sull'incentivazione della dimensione multilaterale del dialogo, in cui coinvolgere pariteticamente tanto i funzionari diplomatici quanto le organizzazioni non governative e di società civile: le difficoltà incontrate nello suscitare cambiamenti profondi in Stati dalla debole struttura amministrativa, senza offrire una lauta controparte come quella della membership, suggeriscono quindi di abbandonare un approccio top-down – guidato cioè dalle interazioni fra governi – a favore di uno di più lungo periodo che susciti processi di riforma dalla base sociale.
Dal punto di vista europeo, inoltre, dialogare con i Paesi della cintura caucasica significa poter controllare le dinamiche di sicurezza nei luoghi in cui la sfera d'influenza russa viene a collidere con quella dell'Unione: non a caso, accanto ai temi della mobilità alle frontiere e della liberalizzazione dei visti, trovano spazio anche l'energia (sicurezza degli approvvigionamenti in Azerbaijan) e la politiche di difesa in ambito PCSD (missione di controllo delle frontiere EUBAM, attiva tra Moldavia ed Ucraina). Compito di Donald Tusk e della Polonia è dunque quello di rilanciare un'agenda politica ed istituzionale, sfruttando come trampolino di lancio il Summit dell'Eastern Partnership che si terrà proprio a Varsavia tra il 28 ed il 29 settembre prossimi, a due anni di distanza da quello inaugurale di Praga.
La partnership orientale necessita ora di un grande impulso per elevarsi a priorità strategica europea e la possibilità di chiudere in breve tempo i negoziati per il DCFTA con l'Ucraina potrebbe essere la migliore occasione per portare agli occhi delle delegazioni i successi ottenuti dal Paese che sinora ha profuso il maggiore impegno per avvicinarsi all'Europa. Restano poi nodi ancora irrisolti nella diffusione delle best practices in materia di diritti umani e democratizzazione (politiche di genere, libertà di stampa, corruzione e malgoverno negli apparati statali), con casi limite come quello della Bielorussia di Lukashenko per la quale non è stato previsto alcun Piano d'Azione a causa del basso livello di dialogo istituzionale con l'UE. Pur cogliendo la straordinaria fase di criticità attraversata dall'UE dopo la crisi dei debiti sovrani, la vitalità della sua politica estera può materializzarsi anche oltre gli incontri ad alto livello e, come detto, l'azione della Polonia nell'ambito del Partenariato sarà tanto più efficace quanto più essa riuscirà a trasmettere la sua vocazione europeista attraverso iniziative che coinvolgano direttamente le popolazioni dei partners: ecco allora che il Civil Society Forum, il cui prossimo summit si terrà in novembre, ed il Business Forum (che coinvolge imprenditoria e parti sociali) si offrono come piattaforme da cui far scaturire quelle riforme necessarie affinché l'Unione Europea ed i suoi vicini possano godere reciprocamente dei benefici di un'integrazione sempre più profonda. * Antonio Scarazzini è Dottore in Studi Internazionali (Università di Torino)

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