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Il gerundio

Da Marcofre

Essendo…

Non amo il gerundio. È vero, non mi ha mai fatto nulla di male, neppure uno sgarbo. Zero. Nemmeno se mi sforzo mi torna in mente una sola occasione nella quale mi abbia magari fatto la linguaccia. Niente da fare.

Ma non mi piace affatto. Secondo me, rallenta il percorso della frase. È come percorrere una via con un furgone che trasporta uova, e trovare all’improvviso un dosso artificiale. Si deve rallentare e procedere con attenzione e non ce n’è il motivo. Già guido con prudenza, (trasporto uova) perché sottopormi a un rischio?

Essendo

La frase arriva al dosso (cioè al gerundio), e rallenta, quasi si ferma:

Essendo

Lo supera con uno sforzo inutile e poi riprende a scorrere. Naturalmente quando butto giù una storia, almeno un gerundio mi scappa sempre. Poi armato dei miei ferri, mi metto all’opera e procedo con l’amputazione. Non mi sono mai pentito di aver soppresso un gerundio. Lo so, ci sono un mucchio di storie che usano questo modo e sono capolavori, eccetera eccetera.

Resto della mia idea. È qualcosa che si mette di traverso, costringe la narrazione a rallentare e non ne vedo il motivo. Non che io scribacchi di azione, thriller o roba del gente, anzi.

Non lo desidero. A volte ci penso una giornata intera (mentre lavoro, magari potessi restarmene in poltrona a gustare tè e a meditare su questi aspetti). Le storie non ti mollano, e la decisione di tenere o no una frase, un certo dialogo, matura lentamente. Senza fretta e senza alcun rumore. Alla fine, mi convinco che il taglio è quello che ci vuole.

Riscrivo la frase senza di lui. Oppure la sopprimo.


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