IL GIOIELLINO (Italia-Francia 2011)
Ispirato al crac Parmalat e a tutti i disastri di finanza creativa che negli ultimi anni hanno distrutto o quasi l’economia mondiale, Il gioiellino è diretto da quell’Andrea Molaioli che pochi anni fa s’era fatto benvolere da tutti i cinefili italiani con il suo film d’esordio La ragazza del lago. Interpretato, come anche in questo caso, da un Toni Servillo che – e vabbè, non fa più notizia – da solo vale il prezzo del biglietto.
Biglietto che comunque anche il resto del film – che pure non è proprio il capolavoro che ci si sarebbe potuti aspettare – contribuisce a ripagare ampiamente: pur scontando qualche eccesso di freddezza intellettuale e una non condivisibilissima propensione a voler sembrare, sempre e a tutti i costi, una pellicola intelligente e autoriale (tutti quei movimenti di macchina così esibiti… ma che bisogno c’è!), Il gioiellino riesce a mostrare in maniera interessante e originale la discesa nel baratro dell’illegalità di un’azienda intenzionata, nei suoi primi anni di esistenza, a farsi portatrice di non meglio specificati alti valori (italianità? onestà? tradizione? qualità?). E in questo baratro ci arriva lentamente, dolorosamente, un po’ alla maniera di quei personaggi di Martin Scorsese che iniziano le loro attività con scaltrezza e determinazione e finiscono con le braghe calate o morti ammazzati. Personaggi che comunque, salvo i due protagonisti (Servillo, appunto, e un altrettanto bravo Remo Girone), non riescono a essere davvero profondi e trimidensionali come lo script avrebbe voluto, sbatacchiati come sono e mollati/ripresi in maniera un po’ casuale – nemmeno il suicidio di uno dei protagonisti, metafora dell’onestà che non paga, riesce a essere particolarmente toccante. E il personaggio di Sarah Felberbaum? Banaluccio. Ma lei è così bella che è quasi impossibile accorgersene.
Tra Paolo Sorrentino e il vecchio Martin, sempre lui, Il gioiellino è un film (forse troppo indulgente) che vedere non guasterà.
Alberto Gallo