Anna Lombroso per il Simplicissimus
I sogni son desideri e i sogni di chi possiede è possedere sempre di più, così l’avidità di pochi trasforma i sogni di molti in incubo. Qui si tratta della fabbrica dei sogni, Cinecittà, la città del cinema nella città più cinematografata, un complesso imponente di edifici e strutture dislocato in un’area di 40 ettari percorsa da ampi viali alberati, con 22 teatri di posa, un backalot di 10 ettari e una piscina all’aperto di 7000 m²; con strutture tecniche di eccellenza per la post produzione cinematografica e televisiva (laboratori di sviluppo, stampa e restauro, laboratori di post produzione digitale, laboratori di post produzione audio, ecc.) e laboratori per l’allestimento delle strutture sceniche (falegnameria, carpenteria, laboratorio di scultura, laboratorio di pittura artistica, ecc.). Il tutto, come recita il sito incurante del fallimento, completato dai servizi più vari: sale per proiezioni cinematografiche e conferenze, servizio di sicurezza per le celebrità, mensa, ristorante, parchi, bar, parcheggi.
In una audizione nel corso della quale – timidamente - alcune voci dai partiti gli chiedevano di pronunciarsi sul suo futuro, il Ministro dei Beni Culturali è stato insolitamente deciso: Cinecittà è un bene privato, si raccomanderà, si suggerirà, si terrà conto, si vedrà, ma – era sottinteso - mica si potrà forzare un imprenditore a fare scelte improduttive, chè in fondo se ci guadagna i benefici ricadono su tutti.
Eh si, Ornaghi, che qualcuno felicemente ha chiamato Ponzio Ornaghi, ha come costumanza quella di farsi gli affari suoi e di lasciarli fare agli altri: si dice lasci esuberare i suoi affaccendati capo di gabinetto, l’onnipotente e onnipresente Salvo Nastasi e il suo sottosegretario Roberto Cecchi. Ha brillato per composta riservatezza nella questione della Biblioteca dei Girolamini, a Napoli il cui direttore, Marino Massimo De Caro, ufficialmente indagato per peculato dalla Procura di Napoli, ha dovuto autosospendersi da solo in attesa che lo sospendesse lui. E in merito all’incauta decisione di far sorgere a un passo dalla Cappella degli Scrovegni due alte torri residenziali, le cui fondamenta profonde accentueranno le infiltrazioni d’acqua, già presenti a pochi centimetri dagli affreschi di Giotto, si è tranquillizzato con le informazioni anestetiche dello stesso assessore che ha dato il consenso all’inopportuna opera.
Forse il più arcaico dei ministri è persuaso che l’aspirazione all’arricchimento investito nella produzione competitiva, si traduca in ricchezza per tutti, anche se in diversa misura per ciascuno, e che dall’avidità possa dunque nascere la prosperità. E si sa che l’acrobazia più spericolata del liberismo neo classico consiste nella dimostrazione che proprio perseguendo con egoistica coerenza il suo interesse l’uomo economico produce il miglior risultato possibile in termini di benessere collettivo.
Dobbiamo deludere Ornaghi. I beni culturali (in altri paesi si adoperano termini diversi, come patrimoine e heritage), la conoscenza, le arti, rappresentano una ricchezza del paese, e dell’umanità. Non tutti sono materiali, ma hanno comunque una connessione strettissima col territorio, con le persone, le loro memorie e l’identità del paese. La loro tutela è un imperativo categorico in nome dell’interesse generale e se vengono custoditi e sviluppati rappresentano un giacimento di ricchezza per tutti.
Purchè però se ne riconosca il valore anche economico così che la salvaguardia consista nella manutenzione della loro integrità inalienabile, della loro storia, della loro vocazione e della loro natura. E l’attitudine di Cinecittà è far fruttare competenze, professioni, arti e artigianato per produrre cinema e cultura.
Qualcosa che non sembra proprio non appartenere all’indole dalla Leg Italian Entertainment Group, la società che rilevato gli studi romani dopo la privatizzazione, partecipata da Luigi Abete, presidente, da Diego e Andrea Della Valle, da Aurelio De Laurentiis e dalla famiglia Haggiag, quella Leg che sembrava vocata a magnifiche sorti tramite l’alleanza con la Filmaster Group per creare “il polo italiano dell’industria dell’intrattenimento” e portarlo in breve a Piazza Affari. L’obiettivo dichiarato era quello di competere con le gradi case internazionali, grazie all’integrazione profittevole della ricchezza rappresentata dagli studi che hanno fatto la storia del cinema italiano, e dalla potenza commerciale di un gruppo già attivo nella produzione di spot pubblicitari e di grandi eventi e alla presenza poi eclissata della pay tv svedese Dahlia, che si accreditava come l’unica alternativa a Mediaset Premium sul nostro mercato.
L’ambizioso disegno è evaporato lasciando lo schema molto meno grandioso e temerario di trasformare il polo di Cinecittà in una vecchia e collaudata operazione speculativa.
Nel progetto di Abete, ci sarebbe oltre la costruzione di un albergo all’interno di Cinecittà, di parcheggi e beauty farm. E la cessione dell’intero settore post-produzione, che conta 90 dipendenti, a società terze. Una rinuncia stolida e ingenerosa a un patrimonio professionale, storico, culturale ed economico, ben collocata nelle dismissioni e nel progetto di liquidazione dei beni immobiliari pubblici promosso dal governo. E ben sostenuta dalla burbanzosa tracotanza dell’amministrazione comunale: con una immagine folgorante il sindaco l’ha detto, a cosa serve in fondo avere studios e strutture quando tutta Roma è un meraviglioso set? E nel silenzio pensoso della componente pubblica, che detiene ancora una partecipazione del 20 per cento di Cinecittà.
Il Ministero, cito Ornaghi, non intende sottrarsi ai suoi doveri rispetto alle difficoltà attraversate da questa realtà (che pure vanno inserite nella più generale crisi del settore) e vigilerà…Non possono tuttavia essere sottaciuti i buoni risultati in termini di fatturato e di contenimento dei costi ottenuti dopo la privatizzazione: sta infatti seguendo con attenzione e con aspettative ottimistiche il percorso di rilancio del comprensorio anche dal punto di vista immobiliare, che dovrebbe portare ad un incremento delle strutture necessarie alle principali attività degli studios e ad una loro valorizzazione.
È ormai ampiamente accertato che il governo dei contabili sbaglia e i calcoli e non si è accorto che sia pure nella crisi e a fronte di una diminuzione del contributo pubblico, l’industria cinematografica ha registrato uno slancio produttivo promettente ed un aumento dell’occupazione. E è altrettanto evidente che il progetto a monte della sua azione è quello di una generale mortificazione penitenziale, un abbattimento forzoso di aspirazioni e talenti, una contrazione dei desideri e delle volontà, per trasformare città e territorio in un augusto panorama di rovine da svendere e i cittadini in una massa arrendevole di cittadini ridotti in servitù.
Diceva Weber che chi coltiva utopie e vuole visioni del futuro è meglio che vada al cinema. Stavolta vogliono toglierci anche quello.
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