La notizia è abbastanza clamorosa. La Cassa Depositi e Prestiti (CdP) si appresta ad entrare nella società Metroweb (M.) per il tramite del Fondo Strategico Italiano (FSI) suo braccio operativo. Investendo complessivamente 1 miliardo di Euro (200 milioni subito tramite aumento di capitale riservato). Chi è e cosa fa M.? La compagine degli azionisti M. vede affiancati il fondo F2I di Vito Gamberale (un fondo di banche, fondazioni e assicurazioni la cui missione sono le infrastrutture), la multiutilities lombarda A2A, Fastweb cioè Swisscom, e Banca IMI. Anche Vodafone sembra si appresti ad entrare con una quota del 10%. M. possiede una rete in fibra ottica concentrata a Milano e in Lombardia e fa affari dandola in affitto ai vari provider di servizi telefonici, televisivi, internet, video-sicurezza, ecc.
In tutta evidenza una società che fa concorrenza a Telecom Italia (TI) in un settore che tutti definiscono essere di importanza strategica per lo sviluppo economico di qualsiasi nazione, quello delle reti a banda trasmissiva larga ed ultralarga (dove il doppino di rame dell’attuale rete TI non basta più).
Tant’è che l’amministratore delegato di CdP, nel ribadire l’intenzione di sviluppare la rete M. in altre 30 città, ci tiene a far sapere che l’iniziativa non vuole opporsi a TI ma vuole essere “sinergica”. Non abboccca Bernabè, che in un’intervista a Massimo Mucchetti sul Corsera del 30 maggio (dal significativo titolo “Telecom è un bersaglio”), dice chiaro e tondo come stanno le cose: “Nelle 30 città dove investirà Metroweb, Telecom c’è già. Sono le aree più evolute, dove vive il 20 per cento della popolazione. Ma l’Italia ha pure 5 milioni di cittadini, 400 mila aziende, 56 distretti industriali senza nemmeno l’adsl: costa troppo per un operatore privato. Eppure, con un incentivo inferiore al miliardo li si può portare almeno all’adsl entro il 2014. Mi chiedo se per lo Stato sia opportuno fare concorrenza all’operatore privato nelle aree dove è facile disinteressarsi delle aree difficili, o se invece non sia meglio unire le risorse di Telecom e della Cdp per garantire a tutti un’infrastruttura essenziale.”
Insomma l’iniziativa del governo tecnico non si spiega restando sul piano industriale e finanziario. E allora? Bernabè, che è una “risorsa nazionale”, cioè uno che ha armadi pieni di segreti poco confessabili, dice più di un paio di cosette interessanti che possono indirizzare una prima risposta. Intanto che nessun concorrente di TI ha ancora messo un euro nella cablatura a fibre ottiche delle città in quanto, per loro, è ancora più conveniente far fare l’investimento a TI e poi affittare la fibra. Ma se l’investimento fosse fatto dallo Stato con ritorni sul capitale che un impresa privata non può permettersi? [ Nota: ecco un limpido esempio in cui lo Stato può anche non svolgere un interesse pubblico, per chi ancora ci credesse].
Poi che TI, forte di un ricco flusso di cassa in Italia, ai prezzi di borsa attuali è facilmente contendibile, magari da chi sarebbe interessato alla sua forte presenza in Sud America. A maggior ragione lo sarebbe con una rete, ancora di proprietà TI, diminuita di valore e con un piano di investimenti in Italia reso meno conveniente dalla concorrenza M.
Infine che i 25000 impiegati TI della rete possono essere tutelati solo nel caso il piano di conversione alla fibra messo a punto da TI potrà andare avanti come previsto (da TI).
Insomma, un bel caos. Con due imprese strategiche italiane a contendersi un osso il cui grasso si sa già non bastare per tutti. E il governo tecnico che favorisce oggettivamente la concorrenza del campione nazionale, giocando sporco (coi soldi delle Poste, cioè nostri).
Sembra di intravedere anche in questo caso (vedi ns. articolo sul blog: Eni va a sbattere su Qatar e SNAM? del 20 maggio u.s.) un disegno del governo tecnico mirante a consolidare un nuovo gruppo di potere industriale e finanziario attorno alle infrastrutture nazionali, con Corrado Passera regista incontrastato e con Monti preoccupato solo di portare a chi di dovere un altro scalpo dei (ex) campioni nazionali. L’architettura del disegno passa sempre attraverso CdP; l’impresa campione viene debilitata sul piano industriale; si spalancano le porte agli azionisti esteri con una esplicita dichiarazione (nei fatti) di “non-intervento”; si priva la nazione della possibilità di ampliare la propria sfera di influenza in settori della più recente rivoluzione tecnologica e quindi la propria più generale proiezione di potenza.
In tutto questo troviamo l’azione del duo Monti/Passera maledettamente coerente con la più recente azione strategica dell’AD di Fiat/Chrysler nel momento in cui ha annunciato la prossima fusione di Fiat Industrial (trattori, movimento terra, autobus) in CNH, società USA con holding in Olanda: con l’esplicita motivazione di semplificare le cose ai capitali USA che così si troveranno un gruppo industriale interamente quotato al NYSE (senza fastidiosi disturbi “europei”). Più di un segnale per Fiat Auto, che ha il 60% di Chrysler.
A sua volta il risultato globale di queste iniziative è coerente con le direttive ricevute da questo governo (vedi articolo di Glg sul blog: Il probabile disegno dei fetenti) : “rendere il nostro paese null’altro che una base militare per gli Usa, ma ancor più un protettorato … in grado di svolgere una politica estera in pieno e succube accordo con la neostrategia (o tattica, poco importa) obamiana” .
Un paese satellite degli USA di tal guisa potrà anche essere governato da un Montezemolo qualunque, un italo, non un italiano.
Roma, 30.5.2012
Riferimenti:
http://online.wsj.com/article/SB10001424052702303552104577435562344037958.html