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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
Francis Scott Fitzgerald
Il celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerarld, Il grande Gatsby (titolo tradotto nel 1950 da Fernanda Pivano) ha accresciuto il suo successo anche grazie alle quattro versioni cinematografiche, specialmente quella di Coppola con Robert Redford e l’ultima di Luhrmann con Di Caprio. Un’opera sulla vacuità, sull’assenza dei veri valori, degli affetti autentici, sulla solitudine, sulla noia, sul dramma del mito americano.
Anni Venti. New York. Siamo nell’età del jazz, del proibizionismo, dei nuovi ricchi, della finanza, dell’emancipazione, dell’America che sta fondando il suo mito distruggendo tutti gli altri. La storia è quella di Jay Gatsby che vuole ad ogni costo riconquistare Daisy Fay ed ogni sua azione è tesa a quell’unico scopo: l’enorme casa comprata a West Egg (toponimo inventato da F. S. Fitzgerald per Long Island) sulla sponda opposta esattamente di fronte alla casa di Daisy, le lussuose feste, tutto per riconquistare la sua adorata che nel frattempo ha sposato il ricco Tom Buchanan.
Oltre l’amore nel romanzo si indagano ben altri sentimenti, ben altre emozioni che dipingono e definiscono a pieno i personaggi dell’America che sta crescendo. La mancanza di affetti autentici, la solitudine, l’incomunicabilità e l’indifferenza. Alle sensazionali feste di Gatsby nessuno parla, nessuno si conosce, tutti sono entusiasti di incontrare gente sconosciuta; nessuno è interessato davvero all’altro, nessuno conosce davvero Gastby e nessuno sembra nemmeno interessato a conoscerlo. Il più solo di tutti è proprio Gatsby che non partecipa alle sue feste favolose ma è sempre solo tra la folla, scruta sperando di scorgere la sua Daisy.
La solitudine del protagonista è immensa quando lo si vede per la prima volta nell’ora del crepuscolo fermo sul prato della sua villa mentre guarda con occhi fissi la luce verde che si riflette sul pontile della casa di Daisy dall’altra parte della sponda. Ed è immensa il giorno del suo funerale quando delle centinaia di persone che partecipavano alle sue feste non resta nessuno. L’ampia indifferenza caratterizza tutti i personaggi, Daisy e Tom più di tutti.
Il senso di solitudine e di indifferenza supera lo sfarzo, il lusso e la felicità che sembra investire tutta la prima parte del romanzo. Distruggendo tutti i miti si distruggono anche gli dèi. E se gli dèi non ci sono più tutto ciò che rimane sono gli occhi del dottor T. J. Eckleburg che si scorgono su un grande cartellone pubblicitario a metà strada tra New York e West Egg. Ed è così che si resta soli, soli nei propri pensieri sconfinati che alla fine non possono non fare paura.
Una riflessione sulla propria generazione, sulle sue debolezze e perversioni (il cui linguaggio ricorda quello usato da un altro grande scrittore statunitense, Henry James) che diventa analisi autobiografica per l’ex alcolizzato e playboy Fitzgerald il quale fa i conti con se stesso e ci regala una triste ma verissima morale: il passato non può ritornare e non ci resta che la nostalgia per i tempi che furono.
Gatsby è un personaggio destinato alla sconfitta, a cadere nel dimenticatoio, e sebbene faccia pienamente parte del mondo che lo circonda, appare inadeguato a viverlo. Ma forse è grande proprio per questo, egli vive solo per un sogno: Daisy. Il suo sogno così puro che sarà la sua condanna. Ma una condanna degna della sua vita fantastica, fanatica e smisurata. Solo il faro verde sembra sopravvivere, allo stesso tempo miraggio del nuovo e dell’illusione. La luce verde è la nostra più grande illusione, promette mentre graffia e distrugge. E infine credere nella luce verde ci fa continuare a «remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».
Di Michela Iovino.