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“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

Creato il 24 marzo 2011 da Abo

“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald
Il grande Gatsby
Francis Scott Fitzgerald, 1925
Minimum Fax (Trad. di Tommaso Pincio)
246 pagine, 12,50 euro; ebook 5,90 euro

Titolo arcinoto, per cui vi risparmio la sinossi e passo direttamente alle mie impressioni, in ordine sparso.
Così su due piedi, Il grande Gatsby è quanto di più lontano io riesca ad immaginare da una storia che mi possa interessare.

“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

L’amore impossibile, i tradimenti, una certa aria da melodramma… Sembrerebbe essercene abbastanza da giustificare la mielosa copertina con cui venne pubblicato per la prima volta in Italia nel 1936, con il titolo di Gatsby il magnifico (a fianco; il titolo si rifaceva all’edizione francese del 1934, ossia Gatsby le Magnifique).

Ora, com’è possibile che non mi abbia annoiato neppure per un secondo (cosa che invece a tratti è riuscita al film con Redford)?
Credo che la risposta sia da ricercare in due aspetti dell’opera.
Il primo è la qualità della prosa di Fitzgerald, nell’eleganza che sprizza da ogni riga.
Ecco uno splendido e malinconico passo dell’originale:

The botlle of whiskey – a second one – was now in constant demand by all present, excepting Catherine, who ‘felt just as good on nothing at all’. Tom rang for the janitor and sent him for some celebrated sandwiches, which were a complete supper in themselves. I wanted to get out and walk eastward towards the park through the soft twilight, but each time I tried to go I became entangled in some wild, strident argument which pulled me back, as if with ropes, into my chair. Yet high over the city our line of yellow windows must have contributed their share of human secrecy to the casual watcher in the darkening streets, and I saw him too, looking up and wondering. I was within and without, simultaneously enchanted and repelled by the inexhaustible variety of life.

Questa la traduzione di Fernanda Pivano per Mondadori, del 1950:

La bottiglia di whisky – la seconda – veniva continuamente chiesta da tutti, eccetto che da Catherine, che “stava bene anche senza niente”. Tom fece venire il portiere e lo mandò a cercare certi tramezzini, molto lodati, che costituivano di per sé una vera e propria cena. Avevo voglia di uscire a passeggio nel parco, ma ogni volta che cercavo di andarmene mi trovavo immischiato in qualche strana discussione stonata che mi inchiodava sulla seggiola come se vi fossi legato con una corda. Eppure, alta sulla città la fila delle nostre finestre deve aver comunicato la sua parte di segreto umano allo spettatore casuale nella strada buia, e mi parve di vederlo guardare in su incuriosito. Ero dentro e fuori, contemporaneamente affascinato e respinto dall’inesauribile varietà della vita.

E infine la versione di Pincio, nell’edizione Minimum Fax:

La bottiglia di whisky, la seconda, era adesso continuamente richiesta da tutti i presenti, fuorché Catherine, che si sentiva “a posto così, senza prendere niente”. Tom fece uno squillo al portiere e lo spedì a comprare certi panini, a quel che pareva assai rinomati e sufficienti per una cena completa. Avevo voglia di uscire e fare una passeggiata verso il parco, nella luce morbida del tramonto, ma ogni mio tentativo di andarmene finiva per impigliarsi in una discussione molto accesa, e mi ritrovavo costretto alla sedia, come fossi legato. Tuttavia, dominando dall’alto la città, la nostra fila di finestre gialle doveva offrire la propria parte di segreti al passante che, dalla strada buia, avesse rivolto lo sguardo all’insù, e anch’io mi sentivo come quell’osservatore occasionale e come lui alzavo gli occhi e mi interrogavo. Mi trovavo dentro e fuori al contempo, incantato e disgustato dall’inesauribile varietà della vita.

La differenza mi sembra abbastanza evidente; in alcuni punti la Pivano risulta un po’ legnosa (“stava bene anche senza niente”, “crepuscolo tenero”, “inchiodato… come se fossi legato”). Pincio invece diluisce la concisione dell’inglese (“soft twilight” diventa “la luce morbida del crepuscolo”) e si prende forse qualche libertà in più (quel “and I saw him too, looking up and wondering” che diventa “anch’io mi sentivo come quell’osservatore occasionale e come lui alzavo gli occhi e mi interrogavo”), risultando così ben più fluido e musicale, in questo come in altri passaggi.
Detto questo, e notato comunque che anche la traduzione della Pivano tutto sommato ha retto abbastanza bene al passaggio di 60 anni, se cercate un libro da sventolare sotto il naso agli integralisti dello show don’t tell, be’, Il grande Gatsby potrebbe fare al caso vostro.
Il secondo aspetto che mi ha fatto amare il romanzo è la figura del protagonista, di cui Fitzgerald prepara con astuzia la prima apparizione. Per 50 pagine (ossia un quarto del totale) Gatsby viene evocato, nominato, intravisto, ma non fa nulla di attivo.
Quando arriva sulla scena ha però l’impatto di un tornado: irrequieto, enigmatico, consumato da un’ossessione amorosa che all’inizio non avrà il coraggio di raccontare in prima persona a Nick Carraway, voce narrante della storia, a cui l’infatuazione di Gatsby verrà riferita da un altro personaggio.
L’iniziale assenza di Gatsby è perfetta sia per rafforzare l’alone di mistero che circonda il protagonista, sia a testimoniarne l’irriducibile isolamento, che resta tale (e anzi, sembra peggiorare) anche quando la sua villa è stipata di ospiti chiassosi e ubriachi.

Come è noto, lo scorso dicembre sono scaduti i diritti sull’opera di Fitzgerald, e c’è stata una grande corsa alla ripubblicazione, cui hanno partecipato Feltrinelli, Newton Compton, Baldini & Castoldi, e per l’appunto, Minimum Fax.
Il motivo per cui ho scelto quest’ultima edizione è stato del tutto affettivo; chi gira da queste parti sa che Minimum Fax è presenza fissa nelle mie letture, e mi faceva piacere sostenerla anche in questa competizione tra editori.
La scelta direi che è stata più che ripagata; ho già detto della traduzione, aggiungo che anche l’apparato paratestuale è di ottimo livello, con una prefazione di Sara Antonelli, e una postfazione dello stesso Pincio.
Unica nota dolente di questa edizione, dal mio punto di vista, è rappresentata dalla copertina: volutamente retrò nella composizione e nel lettering, molto azzeccato, ma non molto convincente nella scelta dell’immagine. Certo quel mento volitivo fa mooolto americano, ma non mi pare sufficientemente evocativo dell’atmosfera.
A questo proposito (e ringrazio InBeetweenWords che ne aveva parlato qui), sul blog The Fox is Black qualche mese fa è stato indetto un concorso in cui gli utenti potevano sbizzarrirsi nel proporre progetti grafici per il libro.
Qua sotto alcune delle mie soluzioni preferite; (tutte le altre qui).

“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald
“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald
“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald
“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

Insomma, vecchie lenze (o vecchi miei, se vogliamo dirla con la Pivano), se ancora non l’avete fatto, leggete Il grande Gatsby.
Nel frattempo, qui trovate un bello speciale su Fitzgerald tratto da Pulp Libri, mentre qui c’è un assaggio del primo capitolo dal sito di Minimum Fax.

Stavolta salto i Pro & Contro, ma vi lascio con un’ultima citazione (che non stonerebbe tra le mie mie Lit Postcards from New York):

Passammo il grande ponte, con la luce del sole che filtrando attraverso le travature si rifletteva in un incessante sfarfallio sulle auto in movimento, e la città che si ergeva di là dal fiume in ammassi bianchi, grandi zollette di zucchero costruite con la magia inodore del denaro.

“Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

(foto mia; non è lo stesso ponte su cui sfreccia Gatsby, ma insomma, NY è sempre NY)

UPDATE:
Sul blog di Tommaso Pincio, un bel post su Gatsby e sul lavoro di traduzione.


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