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IL GRANDE RACKET (1976) di Enzo G. Castellari

Creato il 30 luglio 2009 da Close2me
IL GRANDE RACKET (1976) di Enzo G. CastellariIl capolavoro assoluto fra le tante gemme della filmografia castellariana. Lucido, barocco, corale come nessuna opera poliziottesca fino ad allora realizzata (con l’ovvia eccezione di Di Leo), che disegna sin dall’incipit "vandalico" la sua natura innovativa ed oltremodo matura.
"Il maresciallo Nicola Palmieri della polizia romana è sulle piste di una banda di taglieggiatori: le sue indagini, però, sono ostacolate dalla paura delle vittime e dall’ostilità dei superiori che non approvano i suoi metodi. Deciso a proseguire per la sua strada, il maresciallo s’accorda con due malviventi di mezza tacca, zio Pepe e suo nipote Picchio che in cambio di una certa libertà d’azione gli forniscono informazioni sulla banda. Presente, grazie a Pepe sul luogo di una rapina messa a segno dai banditi, la polizia ingaggia con loro una furiosa sparatoria. In questa occasione è di valido aiuto a Palmieri un campione olimpionico di tiro al piattello, l’ingegnere Gianni Rossetti. Mentre, però, i delinquenti si vendicano sia del Rossetti, bruciandogli viva la moglie, sia di Pepe, facendogli uccidere il nipote, Palmieri viene costretto a lasciare la polizia. Questo, però, non basta a fermarlo…"
Fabio Testi, Renzo Palmer, Vincent Gardenia, Sal Borgese, Orso Maria Guerrini, Glauco Onorato, Massimo Vanni. Nomi del migliore cinema che fu, tutti coinvolti fino al midollo in un progetto ai limiti dello sperimentale, girato senza apparenti risparmi tecnici (solo la distruzione progressiva con relativa caduta nel baratro dell’auto di Palmieri rappresenta in toto una lezione di grande Cinema per tutti giovani registi in erba) e sviluppato attraverso un crescendo narrativo che lascia ancora oggi spiazzati. Lo sguardo ritmico e cronometrico di Castellari abbraccia il disincanto di una società malata; quasi a voler farsi testimone di eventi tanto quotidiani quanto inaccettabili. Colpisce ancora adesso l’impotenza manifesta della polizia, che appare più testimone che partecipe di una Roma dai tratti oscuri, violenti e contraddittori. La violenza nei confronti della figlia del ristoratore e l’assassinio della moglie del campione olimpionico riportano alla mente dello spettatore il cinismo politico di Aldo Lado, con tutta l’amarezza esplicita della messa in scena che ne fu caratteristica imprescindibile.
Opera tanto ricca e sfaccettata da vedere e rivedere, accompagnata nei momenti più crudi dall’eccellente tema di Guido e Maurizio De Angelis, visibilmente simbiotici e solidali col cinema emozionante/emozionale di Castellari
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