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Il gusto per il gore e il raccapricciante nella fiaba di Carolina Invernizio
Creato il 30 ottobre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiarioCari lettori, in questi giorni in cui respiriamo i medializzati mistero e terrore legati alla festa di Halloween, voglio presentarvi il libro di un'autrice italiana che con la paura e l'angoscia, arricchite da un certo gusto per il gore e il claustrofobico, ha intrattenuto i lettori di romanzi d'appendice tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento scrivendo una quantità davvero incredibile di libri! Pur non essendo molto amata dalla critica, Carolina Invernizio ebbe un notevole seguito di lettori, che deliziava con titoli come Il bacio di una morta, La sepolta viva, L'impiccato delle cascine, La maledetta, La morte nel baule e altri. I sette capelli d'oro della Fata Gusmara, a dispetto del titolo e dello stesso incipit fiabeschi, ha un'atmosfera goticheggiante e delle immagini assolutamente orrorifiche e raccapriccianti! Ve ne consiglio la lettura, breve e scorrevole, ma sicuramente lontana dai canoni di libri più recenti! Enjoy. Questo breve romanzo di Carolina Invernizio, una delle più prolifiche e popolari autrici di romanzi di appendice tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, pur nella sua semplicità narrativa (per la linearità della trama, l’assenza di introspezione e di evoluzione psicologica, la caratterizzazione monodimensionale tipica delle fiabe) e linguistica (linguaggio popolare e uno stile poco aggraziato), riesce a risultare in qualche modo ricco, grazie a una curiosa commistione di generi.
L’atmosfera e le coordinate narrative sono quelle della fiaba: nomi semplici che rispecchiano le personalità e i ruoli dei personaggi; animali parlanti, principi e regine, fate e streghe, poveri figli di boscaioli, che sognano di divenire Re e ci riescono; l’indeterminatezza di tempo e luogo; le monodimensionalità e staticità della caratterizzazione dei personaggi; un linguaggio semplice, popolare e colloquiale.
Eppure, il romanzo presenta anche una dimensione fantastica più strutturata di quella della fiaba, che lo avvicina al genere fantasy e che si evidenzia nella struttura della Quest (la cerca) attraverso i quattro paesi del Capriccio, della Baldoria, della Ricchezza, della Vanità, e la caduta nell’ingannevole miraggio della casa della Gatta Bianca prima e della Valle del Dolore poi. Nel raggiungimento, grazie all’aiuto di una preziosa guida soprannaturale, della meta, cioè il Regno della fata Gusmara, e del premio, cioè i suoi sette capelli che conferiscono potere su ogni cosa, e soprattutto nel ritorno verso casa, trionfanti ma desiderosi di riavere una vita serena e scandita dalla quotidianità di gesti ed affetti.
Nel racconto, non mancano poi elementi tipici del romanzo gotico, come le figure dei vampiri (proposti in una versione davvero originale: una corte di gatti, al servizio della Gatta bianca, che di notte prendono sembianze umane per mangiare i malcapitati pellegrini giunti nella loro dimora); e le situazioni angoscianti e claustrofobiche e le immagini decisamente gore del romanzo horror, come la sepoltura di un ragazzo ancora vivo, lo squartamento di donne e l’impalatura di uomini, l’immagine terribile della ruota cui vengono attaccati coloro che si perdono nella valle del Dolore, il banchetto dei gatti-vampiro a base di un fanciullo infilzato con uno spiedo.
Il viaggio fiabesco di Topolina e Falco alla ricerca dei sette capelli d’oro della fata Gusmara, intrapreso per ottenere il potere e la ricchezza per Falco che vuole vendicarsi di una principessina che lo ha rifiutato, dopo il superamento delle tante prove e insidie che li minacciano nei regni nemici della fata, si risolve in un’apoteosi di dimostrazioni di giustizia saggia per mano della piccola Topolina, che viene premiata al posto del fratello. In questo senso quindi, c’è infine anche un richiamo, ma in forma davvero leggera e superficiale, al romanzo di formazione, con le continue imbeccate di Topolina al fratello/innamorato Falco, e con la risposta recalcitrante di quest’ultimo il quale, se pur di indole buona, impara molto lentamente, sbaglia recidivamente e si oppone caparbiamente a ogni consiglio, e solo nell’ultima pagina del romanzo pare riuscire a cogliere il senso di quanto è avvenuto e la verità sulla possibile felicità nel suo futuro.
La struttura a capitoli brevi e la semplicità del narrare, rendono scorrevole una storia che appare a tratti un poco ripetitiva e superficiale. Una favola che intrattiene mentre (forse) tenta di insegnare qualcosa, ma con un gusto macabro e noir. Mentre leggevo, mi veniva in mente la canzone Vanità di Vanità di Angelo Branduardi, che riecheggia l’insegnamento di San Filippo Neri: la cadenza della ballata, il pensiero profondamente significativo ma espresso con parole semplici, dirette, quasi brutali. L’atmosfera della fiaba con l’angoscia dell’ignoto. Da provare.
L'AUTRICE Carolina Maria Margaritta Invernizio Quinterno (Voghera 1851 - Cuneo 1916) è una fra le più popolari scrittrici italiane di romanzi di appendice tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Dopo aver scritto per anni romanzi d'appendice per il quotidiano La Gazzetta di Torino, si legò nel 1907 in esclusiva all'editore Salani per il quale scrisse, in una carriera durata quarant'anni, 123 libri, definiti romanzo storico sociale, che furono pubblicati in una collana a lei intitolata: "I Romanzi di Carolina Invernizio".
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