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Il kebab: ultima frontiera del cibo spazzatura

Da Sergiomaria

di Sergio Maria Teutonico

Esisteva un tempo in cui, da ragazzo, ci si fermava in friggitoria la sera, dopo il lavoro, a comprare una cartocciata di filetti di baccalà fritti in pastella. Salati e forti di sapore finivano nei nostri stomaci annaffiati da birraccia gelata o, più raramente, da vinelli non meglio identificati.
Capitava che si finisse a mangiare panini con la salamella o piadine al prosciutto e a volte, noi figli degli anni ottanta, abominevoli paste asciutte che quando andava bene si limitavano al sugo all’arrabbiata.

Quelli erano gli anni ottanta, eravamo giovani e i fatti della vita si scoprivano giorno per giorno, senza rete e social network. Non esistevano le email e nemmeno i cellulari.


Poi si cresce, si impara, il gusto si affina e si diventa più esigenti, anzi, ci si trasforma in persone che non si abbandonano più alla convivialità ad ogni costo cercando invece di guardarsi intorno e scegliere il meglio.

Forse aumenta la consapevolezza o magari è solo questione che invecchiando si diventa più attenti.


Gli anni ottanta hanno piantato in moltissimi di noi e per nostro tramite nei nostri figli, il tarlo dei fast food americani, cacofonia gastronomica di provenienza grottesca che hanno guastato in moltissimi il senso del gusto tutto italiano.

Negli ultimi venti anni però, quindi a partire dai ’90, un nuovo cancro si è insinuato nella nostra alimentazione: il kebab italianizzato. Se esiste un cibo più orribile e indegno è proprio quello, sporco lurido e insano kebab. Ci tengo a fare una precisazione però, non voglio generalizzare circa questa tradizionale preparazione medio orientale, voglio dare per scontato che nei paesi dove tradizionalmente esso è consumato e preparato sia una pietanza piacevole e caratteristica. Io mi riferisco allo schifo gastronomico che ormai ha invaso il nostro Paese praticamente ovunque e in ogni angolo di strada. Pezzi di carne dall’origine incerta, pieni di sale e spezie che ruotano per giorni interi esposti all’aria e che vedo divorare ovunque da giovani e meno giovani come se fosse il cibo eletto per le ore notturne e per la consolazione post baldoria.

Come se qui in Italia non avessimo già abbastanza luoghi dove il cibo è offeso ogni giorno da noi italiani e dove la nostra cultura alimentare è presa sistematicamente a calci da nostri compatrioti che se ne fottono di Pellegrino Artusi e di Gualtiero Marchesi inseguendo esclusivamente le tendenze del momento e cercando di abbindolare al meglio il nostro popolo di divoratori.

Quali regole sanitarie e di buon senso sono applicate quando passo ogni giorno di fronte al kebabbaro sotto casa e vedo quel blocco che si riduce lentamente, fetta dopo fetta, giorno dopo giorno, a volte anche in una settimana?

Come si può finire a mangiare immondizia del genere? Non siamo più capaci di farci a casa un piatto di spaghetti? Siamo diventati i mangia kebab invece del popolo di mangia spaghetti?
Fate attenzione, non è un discorso di provenienza etnica o religiosa, non mi interessa il colore della pelle o il credo religioso, questo sia chiaro. Mi ributta pensare che intere generazioni di giovani si abbandonino all’immondizia alimentare affermando di non andare al fast food ma ritrovandosi poi a quattro palmenti nelle salse e nelle carni puzzolenti di quello che dovrebbe essere un piatto eccellente ma in realtà è solo monnezza.

Come sempre non si può far edi tutta l’erba un fascio, sono certo che ci sono realtà ottime anche in Italia ed è per questo che vi invito a riflettere e a scegliere con attenzione, senza voler insegnare niente a nessuno ma solamente invitandovi a tenere gli occhi aperti.

Immagino la risposta di molti di voi:” Ma a me piace!”, fate come vi pare. Liberi di farvi entrare in pancia quello che volete io, nel mio piccolo, continuo a dubitare.


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