Il tema del labirinto è stato ripreso da vari artisti, nella letteratura come nelle arti grafiche, sfruttando di volta in volta diverse metafore evocate dall’immagine del labirinto. La metafora del labirinto è usata per indagare la capacità dell’uomo di controllare il proprio destino..
E spesso simboleggia l’imperscrutabilità del disegno divino che ha creato l’universo o l’universo stesso, o la conoscenza umana, pur sempre limitata però rispetto a quella divina o ancora l’intrico della trama ordita da un uomo.
Un tema che accompagna da sempre la storia dell’uomo, apparso in varie culture, epoche e luoghi della terra è rappresentato dall’emblema del labirinto: un simbolo antichissimo che si manifesta attraverso una millenaria tradizione figurativa.
Sin dall’epoca in cui è nata la saga legata ai miti di Dedalo, di Teseo, di Arianna e del Minotauro nella leggendaria Creta del re Minosse, questa immagine è stata fonte di numerosissime citazioni letterarie e poetiche, nonché protagonista di una vastissima iconografia che, iniziando dal periodo preistorico (dal Neolitico), giunge fino al mondo contemporaneo.
Nella letteratura, in particolare, nel romanzo Il nome della rosa, Eco parla del labirinto all’interno della biblioteca del monastero come di un labirinto multicursale, cioè non più un labirinto a percorso unico, come si usavano costruire all’epoca (1327). Lo stesso Umberto Eco, nel saggio Dall’albero al labirinto, traccia la storia del tentativo di classificare la realtà tramite undizionario o un’enciclopedia, e associa l’evoluzione dell’enciclopedia all’evoluzione storica del labirinto, da unicursale a multicursale a rete.
Molti altri autori si sono occupati di labirinti, come ad esempio l’autore di fantascienza Roger Zelazny, che nella serie di romanzi delle Cronache di Ambra cita un labirinto chiamato “il Disegno”, che permette a chi lo percorre di muoversi verso realtà alternative.
Nelle arti figurative il labirinto è usato come soggetto ad esempio da Joan Mirò (Labirinto, 1923),Pablo Picasso (Minotauromachia, 1935Il labirinto compare anche nel cinema, ad esempio in Il gabinetto del dottor Caligari (compresa la fuorviante versione del 1962), Il nome della rosa dall’omonimo romanzo di Eco.
E’ nell’area del bacino mediterraneo che si trova la maggior parte dei labirinti antichi, ovvero nella Creta minoica del II millennio a.C. e forse già nel III. Le documentazioni storiche non permettono di risalire a epoche più remote, al massimo al Neolitico. La provenienza mediterranea e più specificatamente cretese di questo antico simbolo sembra ormai accertata.
Nella sfera culturale della Grecia classica il labirinto era concepito come planimetria o tracciato di un edificio (a forma quadrangolare), ma era soprattutto il risultato dell’opera ingegnosa e straordinaria dell’architetto Dedalo. Il percorso al suo interno diventa la materializzazione di una prova iniziatica traducibile come viaggio che conduce al centro , ovvero al luogo sacro per eccellenza che esprime la speranza di una rinascita.
Dopo il Due – Trecento l’immagine del labirinto perde lentamente la carica penitenziale e spirituale impressa dalla rilettura cristiana per volgere a significati profani e ormai laici.
Un progressivo mutamento nell’essenza del segno, per cui il labirinto diventa un luogo in cui ci si può smarrire, nasce dall’età manieristica e barocca, unitamente alla coscienza tragica dell’uomo imprigionato in un sistema ineluttabile di cammini intricati e fuorvianti, dove la via si frantuma, si biforca, nasconde l’inganno e da cui solo la grazia divina o la sua intelligenza o perspicacia potranno preservarlo dall’oblio. L’Ottocento fu, nel suo complesso, un secolo manifestatamente antilabirintico. Un rinnovato interesse per il concetto di labirinto, tuttavia, venne successivamente accolto dal Novecento; ma è principalmente l’epoca odierna il territorio in cui, per molti frangenti, questo segno millenario celebra uno dei suoi massimi fasti e appare più che mai presente in campo simbolico, filosofico e artistico. La sua grandiosa eredità simbolica, che si è prolungata attraverso le epoche modulando in cambiamenti sostanziali il suo potere iconico, si riscopre dunque vigorosa e vitale nel panorama artistico del ’900.
In Minotauromachia di Picasso è evidente il concetto. Sulla scena molti personaggi, il Minotauro sembra essere tentato dal gorgo degli avvenimenti e, sfuggendo alla guida della bambina, pare voglia buttarsi nella mischia. La bambina sembra non riuscire più a convincere il Minotauro a seguirla nel suo viaggio nel mondo dell’immaginario e del fiabesco innocente.Gli avvenimenti incalzano, si sente il bisogno, la necessità di intervenire, l’eros non più rivolto ad atti di sopraffazione, grazie al passaggio attraverso la cecità, può essere guidato verso altre imprese.
Jackson Pollock presenta i suoi labirinti senza uscita, nessuna porta si apre in fondo al percorso, nessun Dio al centro, soltanto angoscia di un viaggio senza ritorno nelle sue sgocciolature di colore cupo, con sprazzi di tinte violente: altro non sono che rappresentazioni di quella lucida follia che lo ha portato a dipingere i capolavori che tutti conosciamo, ma anche simbolo della sua vita travagliata, segnata da depressioni e ricoveri.
escher
In relatività Escher usa tre diversi punti di fuga per dare origine ad una raffigurazione unitaria che rappresenta, simultaneamente, tre mondi distinti. Se guardiamo la zona centrale, nella parte bassa del disegno, vediamo una creatura dalle sembianze umane che sale. Lungo una scala. Se la creatura volta a sinistra, potrà salire un’altra scala e trovare un giardino posto di fronte a sè e due nuove scale, l’una alla sua sinistra e l’altra alla sua destra. Ognuna di queste scale è usata da altre creature, collocate nel medesimo mondo in cui si trova la prima creatura.