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Se fosse stato il contrario oggi sui media nazionali sarebbero presenti le proteste dei rappresentanti dei tutte le categorie di commercianti e imprenditori, invece a prendere la penna, o le tastiere dei computer, sono...i giornalisti degli stessi quotidiani. Intendiamoci non semplici giornalisti ma i direttori, i vice direttori e i massimi opinionisti, insomma quelli che incidentalmente possono vantare un reddito annuo superiore ai 90mila euro indicati nella manovra come il discrimine oltre il quale si opererà un inasprimento del regime fiscale.
Il lamento è trasversale, dai fogli della destra, anche la più vicina a "padron Silvio", a quelli delle sinistra d'opposizione, non tralasciando quelli tradizionalmente controllati dai potentati economici nazionali, a testomoniare che in fondo l'appartenenza alla categoria è più forte di ofni schieramento politico ed ideologico che, si sa, per un giornalista può essere quantomai fluttuante.
Il più originale nel protestare è il giornalista de La Stampa massimo Gramellini, che da tempo è noto per gli arguti editoriali pubblicati dal quotidiano torinese, che con l'articolo "Il lamento del medio alto" si aggiudica il primo premio della specialità.
Peccato che il dottor Gramellini e tutti i suoi colleghi abbiano tralasciato di considerare un piccolo ma non insignificante particolare che invalida alla base le loro ragioni: la provenienza del denaro che mensilmente il loro datore di lavoro, l'editore del giornale per i quali lavorano, versa sui loro conti bancari.
Eppure chiunque con un briciolo di lucidità dovrebbe chiedersi come possa l'editore di un giornale che accumula perdite su perdite ogni anno che passa, pagare così lautamente i suoi giornalisti.
In realtà la risposta è molto semplice e ben conosciuta da tutti: quei soldi sono versati in realtà dallo Stato sotto forma di finanziamenti all'editoria.
In realtà il dottor Gramellini e i suoi colleghi non sono veramente dei dipendenti privati, ma fanno parte di tutta una serie di soggetti, comprendenti consulenti, collaboratori, artisti, attori, conduttori etc. che ricevono centinaia di migliaia di euro dallo Stato, e debbono per questo essere considerati dei veri e propri dipendenti parastatali.
Altro discorso è poi considerare se questo lauto stipendio sia commisurato alle capacità e alla valutazione che il mercato da alla professionalità del giornalista: ma è proprio sicuro il dottor Gramellini, che il suo stipendio sia così "mediamente alto" a causa del suo talento, oppure non è decisamente esagerato e fuori dalle regole di un mercato, se esistesse un libero mercato dei giornalisti?
Alla fine, tutto quello che si può dire, è che lo stipendio "medio alto" dei Gramellini d'Italia è pagato proprio da quelle migliaia e migliaia di lavoratori che magari si alzano la mattina alle cinque e rientrano a casa la sera alle otto, per guadagnarsi uno stipendio o un salario di mille euro mensili, e che il dottor Gramellini non lo hanno mai letto ne mai hanno pensato di leggerlo e probabilmente non sanno nemmeno che esiste. Quei lavoratori "medio bassi" che, ma guarda un po' la stranezza di questo mondo, non si lamentano della manovra finanziaria.
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