Esiste una Germania sconosciuta, molto lontana da quella osannata dai media. Una Germania povera, senza lavoro e semispopolata a causa dell’emigrazione. Una Germania impaurita, in cui, 70 anni dopo la fine del nazismo, l’estrema destra sta inaspettatamente risorgendo.
PEGIDA – Nel giro di poche settimane, il 41enne Lutz Bachmann, figlio di un macellaio, è diventato «l’uomo che minaccia il futuro della Germania». A inizio ottobre ha creato su Facebook un gruppo anti-islamico con poche centinaia di iscritti. Mentre sto scrivendo, la pagina conta più di 90 mila fan, un trend in continua crescita. Si chiama Pegida, acronimo che in tedesco significa “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”.
Ogni lunedì sera, a Dresda, organizza una manifestazione contro le politiche di immigrazione del governo. Erano meno di 500 persone all’inizio, poi, a dicembre, l’exploit: 10 mila l’8 dicembre, 15 mila il 15 dicembre, più di 17 mila il 22 dicembre. In Germania è improvvisamente nato un movimento nazionalista di massa.
Giornalisti, politici e commentatori sono sconcertati. «Nessuno ha presagito la nascita del movimento: né la politica né la stampa», ha scritto Claus Christian Malzahn sul quotidiano Die Welt. Il ministro della giustizia, Heiko Maas, ha definito il movimento «una vergogna per la Germania», mentre Ralph Jäger della Spd ha spregiativamente chiamato i suoi componenti «neonazisti in doppiopetto». Per reazione, manifestazioni anti-Pegida si sono nel frattempo tenute in varie città del Paese.
Il 22 dicembre, parlando in un microfono da un palco improvvisato, un container scoperchiato nell’affascinante Theaterplatz di Dresda, Bachmann ha scandito frasi contro gli immigrati che vivono alle spalle dei tedeschi. «Noi siamo per i veri valori tedeschi, oggi Neukoelln (il quartiere turco di Berlino, ndr) è dappertutto, spendono tutto per i profughi e se ne infischiano dei nostri anziani poveri. Noi lottiamo per il futuro dei nostri figli»[1]. Per Bachmann i veri valori tedeschi sono quelli cristiano-ebrei contenuti nella Costituzione.
Davanti a lui sventolavano bandiere della Germania e striscioni contro l’islamizzazione dell’Europa. «Wir sind das Volk», “noi siamo il popolo”, urlava la folla. È lo stesso slogan delle “manifestazioni del lunedì sera” che si svolgevano a Lipsia venticinque anni fa, quando gli abitanti dell’ex Ddr reclamavano la democratizzazione dell’Est comunista.
Stavolta, però, l’impressione che suscita lo slogan è ben diversa: quando i seguaci di Pegida usano la parola “popolo” (Volk) non sembrano suggerire una semplice contrapposizione tra una classe politica chiusa e una massa di cittadini privi di diritti, come nel 1989, ma sembrano piuttosto conferire al termine Volk un’allarmante connotazione etnica, come a separare nettamente i tedeschi, i “patrioti”, dagli immigrati, gli stranieri.
Una sfumatura di non poco conto, visto che, diversamente dall’italiano, in tedesco “popolo” è un vocabolo denso di significati: nel corso del romanticismo evocava una suggestiva comunione dell’anima tedesca con la natura e il cosmo, nonché un ideale nazional-patriottico, ma all’inizio del Novecento il suo significato degenerò, impregnandosi di accezioni razziste, e il Volk divenne il cuore dell’ideologia hitleriana. «La Germania si sta svegliando. Per la nostra patria (Vaterland), per la Germania, per il nostro Paese, il Paese dei nostri antenati, dei nostri discendenti e dei nostri figli», ha detto uno dei leader di Pegida, riesumando un altro termine dell’era nazista, Vaterland.
NEONAZISTI? – Recatosi alla manifestazione del 22 dicembre, il corrispondente di Repubblica, Andrea Tarquini, è rimasto sorpreso dal «clima da festa paesana» che regnava nella Theaterplatz. Non ha visto emblemi nazisti, razzisti o antisemiti, soltanto una «folla di gente normale: più uomini che donne, ma molti giovani, coppie e famiglie con bambini. Teste rasate? Poche, qua e là miste nella folla, ma a bocca chiusa e senza distintivi»[2].
Le osservazioni di Tarquini, riconducendo la protesta nell’alveo di un tranquillizzante ritratto familiare da Oktoberfest, appena guastato da qualche mela marcia, paiono a prima vista rassicuranti ed escluderebbero il paventato ritorno del “tedesco cattivo”. D’altronde potrebbe suonare avventato bollare come estremiste più di 17 mila persone, come ha anche riconosciuto il ministro dell’interno della Sassonia, Markus Ulbig della Cdu, il partito di Angela Merkel.
Eppure, non si può fare a meno di giudicare inquietante il fatto che decine di migliaia di persone “normali” trovino a loro volta “normale” marciare al fianco di neonazisti e hooligan contro la minaccia, ritenuta da loro ormai imminente, dell’islamizzazione della Germania.
Mentre Bachmann sosteneva che presto persino l’espressione “albero di Natale” sarà abolita in nome della scristianizzazione del Paese, la folla di gente normale applaudiva. Allo Spiegel un dimostrante ha espresso il sincero timore di vedere un giorno le sue nipoti costrette a indossare il velo islamico, mentre una donna si è lamentata perché, a suo dire, i rifugiati acquistano costosi cellulari che lei non potrebbe mai permettersi. «L’Islam non è una religione pacifica. È una cosa con cui dobbiamo fare i conti. La nostra vita in Germania, così come la conosciamo, è minacciata», ha dichiarato alla BBC un normale uomo sulla cinquantina sorreggendo un’enorme croce cristiana dipinta con i colori della bandiera tedesca.
I servizi di sicurezza tedeschi (BfV) non prendono il movimento sottogamba. Sotto l’ombrello di Pegida si stanno infatti raccogliendo diverse frange estremiste, alcune delle quali già monitorate dalle autorità. Ci sono i neonazisti dell’Npd, il Partito NazionalDemocratico di Germania, che alle ultime elezioni europee sono riusciti a eleggere un loro rappresentante e che a settembre hanno ottenuto il 4,9% in Sassonia. Ci sono elementi del Reichsbürgerbewegung, il Movimento dei Cittadini del Reich, il cui scopo è ripristinare i vecchi confini dell’Impero (Reich) tedesco. Sono stati poi identificati circa 300 hooligan della squadra di calcio locale, la Dynamo Dresda, anche loro appartenenti all’area dell’estrema destra.
A Pegida si sono inoltre aggregati seguaci di teorie della cospirazione. Udo Ulfkotte, ex giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung e autore del libro complottista Giornalisti comprati (un bestseller in Germania), ha apertamente appoggiato il movimento ed è sceso in piazza nelle manifestazioni di Bogida, la succursale di Bonn di Pegida. Nel suo libro Ulfkotte denuncia di aver collaborato per 17 anni con la Cia e sostiene che una rete di gruppi elitari, tra cui annovera il solito club Bilderberg, manovri l’informazione globale. La sua video-confessione, ripresa anche dal blog di Beppe Grillo, è stata rilasciata alla televisione Russia Today.
Non a caso i membri di Pegida, come ormai molte formazioni di destra in Europa (dal Front National in Francia alla Lega di Salvini in Italia), sono ferventi ammiratori di Putin: «Putin, hilfe uns!», “Putin, aiutaci”, gridavano il 15 dicembre, mentre qualcuno esponeva un cartello con su scritto «Germania fuori dalla Nato!». I media occidentali vengono così accuratamente evitati in quanto bugiardi, e quelli russi, considerati invece estranei alla manipolazione americana, accolti a braccia aperte.
Lo stesso leader di Pegida, Lutz Bachmann, attualmente titolare di un’agenzia di pubbliche relazioni, ha alle spalle un passato criminale. Un giornale sassone locale, la Sächsische Zeitung, ha recentemente riportato la fedina penale di Bachmann, tra cui spiccano 16 furti, guida in stato di ebbrezza e senza patente, e spaccio di cocaina. Per sfuggire alla condanna, Bachmann scappò in Sudafrica prima di essere estradato in Germania e scontare la sua pena.
L’unico politico tedesco di rilievo espressosi a favore di Pegida è Bernd Lucke, leader di Alternativa per la Germania (AfD), un partito anti-euro in rapida ascesa (ha preso il 7% alle europee di maggio) nonostante sia stato fondato appena nel 2013. Su posizioni conservatrici (è contro i matrimoni gay), Alternativa per la Germania «per certi versi assomiglia al Tea Party americano», osserva l’Economist. «In Sassonia [la cui capitale è Dresda, epicentro di Pegida, ndr], dove è più forte, ha puntato sempre di più sull’inasprimento dei controlli all’immigrazione e alla criminalità transfrontaliera, spesso con posizioni xenofobe».
Un sito tedesco (afdodernpd.de) gioca sulle ambiguità politiche della formazione di Lucke mettendo provocatoriamente a confronto le affermazioni degli esponenti di Alternativa per la Germania con quelle dei neonazisti dell’Npd e sfidando gli utenti a indovinare a chi attribuirle.
La posizione di Alternativa per la Germania riguardo a Pegida non è ancora ben definita, dato che la stessa ideologia del partito è in una fase embrionale («per esempio, nel partito si discute se criticare Vladimir Putin o coccolarlo», spiega sempre l’Economist), ma il sospetto è che Lucke si stia facendo ingolosire dalla possibilità di cavalcare l’onda della protesta di Pegida per aumentare i suoi consensi.
Un allarmante sondaggio dello Spiegel ha d’altronde rivelato che ben il 34% dei tedeschi concorda con la tesi di Pegida: la Germania rischia di essere islamizzata. Sembra quasi per la gente “normale” esprimere opinioni intolleranti, xenofobe e razziste stia diventando socialmente accettabile, in una parola: “normale”.
ESCALATION XENOFOBA – La Germania è il primo Paese al mondo per richieste di asilo. Le guerre in Medio Oriente hanno fatto schizzare negli ultimi anni il numero di rifugiati: le domande di asilo (circa 110 mila nel 2013) sono quasi quattro volte superiori a quelle presentate in Italia, dato che la maggior parte dei migranti che sbarcano sulle nostre coste (in particolare i siriani) aspirano a trasferirsi in terra tedesca. Le stime per il 2014 delineano uno scenario inaudito per la Germania: 200 mila profughi, l’80% in più rispetto allo scorso anno, il che porta il Paese della cancelliera Merkel ad accogliere un terzo di tutti i rifugiati d’Europa.
Come accade nelle periferie di Roma, anche in quelle tedesche l’estrema destra soffia sul fuoco, sobillando gli abitanti dei quartieri contro l’apertura di nuovi centri di accoglienza. Nel 2013 gli attacchi xenofobi contro i rifugiati sono stati il doppio rispetto al 2012. Nel 2014 sono persino aumentati (86 fino a settembre), ma le cifre potrebbero essere sottostimate. Secondo le autorità, in tutta la Germania vi sono circa 10 mila estremisti di destra disposti a ricorrere alla violenza contro gli immigrati stranieri.
Il politologo tedesco Werner Patzelt, interpellato dal Washington Post, ha criticato il governo Merkel, osservando che al momento manca una strategia politica efficace per integrare i migranti nella società. Questo sta inevitabilmente determinando l’insorgere fra la popolazione di una crescente insofferenza nei confronti dei rifugiati.
Pegida appare, insomma, come la risposta sbagliata a un problema concreto che sia il governo tedesco sia l’Unione Europea faticano a risolvere. La situazione, di per sé già drammatica, è poi acuita dalle notizie che provengono dalla Siria e dall’Iraq, e dal conseguente timore che emuli dell’Isis approdino nel vecchio continente per compiere attentati.
Tuttavia, una contraddizione non trascurabile rischia di alterare lo spaccato che abbiamo tratteggiato.
In Sassonia, dove è nato Pegida, gli stranieri rappresentano solamente il 2,5% della popolazione, e i musulmani sono appena 4000 su 4 milioni di abitanti, lo 0,1% [3]. Inoltre, le stesse circostanze che hanno condotto alla fondazione di Pegida sembrano immerse in un gigantesco equivoco. Alla Bild Bachmann ha infatti raccontato di aver creato il gruppo Facebook, da cui sarebbe poi scaturito il movimento, dopo aver visto in Prager Strasse, la via dello shopping di Dresda, un sit-in a favore del Pkk, il partito dei curdi. Eppure i curdi sono di fatto le uniche forze terrestri su cui l’Occidente e i Paesi arabi moderati possono contare per sconfiggere il Califfato islamico. Possibile che Bachmann lo ignori?
Perché allora Pegida sta avendo più successo a Dresda che nella multiculturale Berlino? Perché l’islamizzazione è percepita incombente in una regione in cui i musulmani sono una parte infinitesimale del totale della popolazione?
DRESDA, EX GERMANIA EST – Quando ancora si trovava imprigionata nei confini dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (Rdt), Dresda era soprannominata “la valle degli ignari”: era infatti l’unica area dell’Est comunista a non ricevere le emittenti televisive della Germania Ovest. Per più di 40 anni gli abitanti della valle dell’Elba sono rimasti isolati dal resto del mondo: non solo non potevano viaggiare, a causa delle limitazioni imposte dal regime comunista, ma non potevano nemmeno assistere da lontano ai cambiamenti che nel frattempo investivano i loro compatrioti a occidente, come l’imponente fenomeno migratorio dei turchi.
La riunificazione, la globalizzazione e l’inizio di un seppur debole flusso di stranieri devono aver rappresentato uno shock culturale per molti tedeschi orientali.
Ma lo shock culturale non è nulla in confronto a quello economico patito dai cinque Länder dell’ex Rdt in seguito alla riunificazione tedesca, o – meglio – alla vera e propria annessione dell’Est alla Germania Ovest (la Repubblica Federale Tedesca, Rft). Da un giorno all’altro, senza alcuna gradualità, un’economia socialista, mai vissuta in un regime di libero mercato, fu costretta a dover fronteggiare la concorrenza spietata delle ben più produttive aziende occidentali e, per di più, a dover rinunciare alla propria moneta per adottare la pregiata valuta dell’Ovest. Nessun efficace paracadute fu fornito ai tedeschi dell’Est per sopravvivere al cambiamento radicale in atto.
La produzione industriale della Germania Est ha subito, negli anni successivi alla riunificazione, un tracollo dell’80%, una catastrofe che nessuno dei Paesi dell’ex blocco comunista è riuscito a eguagliare [4]. Il processo di deindustrializzazione è stato così marcato che in Sassonia, la regione di Dresda, i posti di lavoro nell’industria erano appena 160 mila nel 2008, a fronte degli 1,2 milioni pre-1989. Nel 1992 la disoccupazione effettiva, calcolando sia i fuoriusciti dal lavoro sia i lavoratori da ricollocare, era superiore al 30%. Appena due giorni dopo l’entrata in vigore dell’unione monetaria il prezzo della latte raddoppiò. Nel complesso il costo della vita all’Est è aumentato del 70,2% in un decennio.
Lo shock economico indotto dall’affrettato passaggio dal socialismo al capitalismo ha provocato un’emigrazione di massa dalla Germania orientale a quella occidentale: a emigrare sono in particolare giovani, donne e lavoratori qualificati, che partendo privano così l’Est delle uniche energie che potrebbero risollevarlo.
All’emigrazione si sommano gli effetti deleteri causati dalla crollo della natalità e dell’invecchiamento della popolazione: era dai remotissimi tempi della Guerra dei Trent’anni (1618-1648) che in una regione dell’Europa centrale non si verificava un calo così pronunciato della popolazione (circa del 10%), per di più in un periodo di pace.
La città di Dresda, ad esempio, ha perso 50 mila abitanti in 25 anni, 1/10 della popolazione, che sono stati rimpiazzati soltanto artificialmente, assorbendo nel comune i sobborghi circostanti. Le città dell’ex Rdt sono talmente spopolate che le amministrazioni locali non hanno avuto altra scelta che abbattere gli edifici vuoti per evitare un’eccessiva caduta dei prezzi degli immobili.
La situazione per i cittadini dell’ex Germania Est è dunque tuttora critica. Il reddito di un tedesco orientale (come misura la mappa a lato tratta dal Washington Post) corrisponde circa ai 2/3 di quello percepito da un tedesco dell’Ovest. Il tasso di disoccupazione, superiore al 10%, equivale più o meno a quello delle regioni dell’Italia settentrionale (mentre nell’ex Rft è solo del 6%), ma si tratta di un dato che va integrato con il fenomeno tutto tedesco dei mini-job, i lavori precari scarsamente retribuiti (non più di 450 euro al mese) che interessano addirittura il 25% dei lavoratori in Germania. L’insieme combinato di questi fattori comporta che un tedesco orientale su cinque vive al di sotto della soglia di povertà: nell’area di Dresda 100 mila persone sono bisognose. Molte altre sono a rischio povertà.
Il modello tedesco tanto acclamato sui nostri organi di informazione non potrebbe essere più distante.
LA COSTRUZIONE DEL NEMICO – A furia di essere concimata a dosi di shock economico-sociali, non sorprende che l’ex Ddr si sia tramutata in un terreno fertile per l’ascesa dell’estrema destra. Accanto alla Linke – la sinistra erede del partito comunista, che all’Est continua a prendere più voti che all’Ovest – si è presto affiancata la destra neonazista, pronta a offrire la solita terza via fra il capitalismo selvaggio e il vecchio comunismo.
Nelle ultime elezioni tenutesi a settembre in Sassonia, e quindi anche a Dresda, i neonazi dell’Npd non sono riusciti a entrare nell’assemblea regionale per appena 809 voti, in gran parte a causa della competizione con Alternativa per la Germania, balzata oltre ogni previsione al 9,7%. Un’analisi dei flussi di voti ha infatti dimostrato che «l’elettorato di AfD coincide in gran parte con quello del neonazista Npd, con cui condivide le posizioni politiche contro gli immigrati e a favore della famiglia tradizionale». In Sassonia Alternativa per la Germania ha inoltre rubato voti ai liberali, ormai quasi spariti, e alla Cdu di Angela Merkel, che ha minimizzato l’exploit di AfD definendolo un «voto di protesta».
Il nuovo “patriottismo nazionalista” di Pegida sta perciò diventando uno strumento funzionale per incanalare il (giustificato) malcontento degli abitanti della Germania orientale verso la pericolosa ricerca di un capro espiatorio. Nelle manifestazioni del lunedì sera i seguaci del movimento di Bachmann stanno sperimentando una sorta di sollievo emotivo dalla loro paura: unita nella rinnovata comunità etnica del popolo (Volk) tedesco, una folla di gente “normale” separa da se stessa chi non ne fa parte.
Nel processo di costruzione del nemico, gli islamici sono il bersaglio perfetto: poiché ammontano ad appena 4000 su tutto il territorio della Sassonia, la maggioranza della popolazione tedesca non li conosce e può dunque sfogare su di loro le proprie frustrazioni senza provare alcuna remora. La fantasia inizia a correre, e persino le strampalate teorie del complotto di Ulfkotte, secondo cui gli islamici contaminano il cibo europeo con i loro escrementi, diventano improvvisamente plausibili.
Pegida non poteva che nascere nella Germania orientale, perché più il nemico è immaginario, più esso suscita i brividi. È un fenomeno tanto antico quanto spaventoso, come spiega mirabilmente Daniel Goldhagen:
«L’antisemitismo senza ebrei fu la norma generale nell’Europa medioevale; persino dove si permetteva loro di vivere con i cristiani, ben pochi li conoscevano o avevano l’occasione di osservarli da vicino. [...] L’antisemitismo non si basava su alcuna familiarità con gli ebrei reali: essa non sarebbe stata possibile. È probabile che anche la maggioranza dei violenti antisemiti nella Germania di Weimar e del periodo nazista avesse avuto scarsi contatti con gli ebrei, o non ne avesse avuti affatto. Gli ebrei erano praticamente assenti da alcune regioni, dove costituivano meno dell’un per cento della popolazione [...]. Le convinzioni e le emozioni di tutti quegli antisemiti non potevano certo fondarsi su una valutazione obiettiva di loro, ma per forza di cose su ciò che avevano sentito dire».[5]
Le politiche economiche d’austerità e la pessima gestione dei flussi migratori da parte dei governi europei stanno involontariamente ricreando le condizioni per l’emergere di un nuovo razzismo, ormai sempre più legittimato, persino dai partiti moderati. All’inizio di dicembre l'Unione Cristiano Sociale (Csu), alleata del partito di Angela Merkel, è addirittura arrivata al punto di proporre che tutti gli stranieri vengano obbligati a parlare tedesco sia in pubblico sia in famiglia, senza peraltro precisare a quali mezzi orwelliani stesse pensando per far rispettare una tale coercizione. Per Marinella Colombo, autrice italiana che per anni ha vissuto in Germania, il modello tedesco di integrazione «riconosce le differenze solo per screditarle e punta solo all’assimilazione nella cultura tedesca».
La storia ci avverte che, quando il livello di disoccupazione cresce eccessivamente e la povertà straripa inghiottendo anche il ceto medio, la popolazione diviene di colpo ricettiva ai richiami dell’estremismo politico. Vuole soluzioni semplici e totalitarie, e le vuole immediatamente. Ma, sopra ogni cosa, vuole un colpevole. Purtroppo, però, ignorare la storia è ormai una prassi consolidata nella nostra società, e il menefreghismo per il passato sta conducendo a conseguenze rovinose.
Se Angela Merkel non vuole passare alla storia come il cancelliere che aprì di nuovo la strada in Germania e in Europa all’ascesa dell’estrema destra, come fece Heinrich Brüning negli anni ‘30, non può più aspettare: deve ripensare radicalmente le politiche migratorie e d’integrazione attualmente in vigore, con l’ausilio degli altri partner internazionali, e deve soprattutto rilanciare i consumi interni, per alleviare il disagio sociale non solo dei tedeschi orientali ma anche dei popoli mediterranei, così come prescrivono numerosi economisti.
Diversamente, il numero dei tedeschi che appoggeranno le proteste di Pegida continuerà a salire (secondo il settimanale Die Zeit sono già il 49%), e sarà sempre più comune imbattersi in una folla di persone “normali” impegnate a urlare slogan di estrema destra.
Jacopo Di Miceli @twitTagli
[1] Citato in La Repubblica del 24/12/2014.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.[4] I dati sull’ex Germania Est qui citati sono tratti, dove non diversamente indicato, da Vladimiro Giacchè, Anschluss. L’annessione, Imprimatur, Reggio Emilia 2013.
[5] Daniel Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler, trad. it. Mondadori, Milano 2009, p. 45.