SILVER LININGS PLAYBOOK (Usa 2012)
Dio benedica l’America. No, non per la democrazia, per gli hot dog, per i cowboy e per tutte quelle altre cose di cui gli americani stessi vanno tanto fieri e che stanno alla base delle loro lodi al dio di turno. Ma nemmeno per il rock’n'roll (l’Inghilterra, per quello e per quanto mi riguarda, basta e avanza) o per la letteratura (tanto i russi e i francesi non li batte nessuno). No no no. Dio benedica l’America perché da almeno 80 anni – diciamo da Accadde una notte in poi – è il posto da cui proviene il 90% delle migliori commedie del mondo. Forse il 95. Una bella commedia, che non sia troppo sdolcinata, troppo banale o troppo stupida, è forse la cosa più difficile da partorire, a livello cinematografico. Eppure loro, gli americani, ogni tanto ci riescono, regalando – o comunque facendo pagare a un modico prezzo – al mondo indimenticabili momenti di puro, disimpegnato, leggero e piacevole godimento.
Come in questo caso.
Pat è appena uscito da un istituto psichiatrico per aver quasi ammazzato di botte l’amante di sua moglie. Tiffany è una giovane vedova il cui approccio con gli uomini tende a essere un po’ troppo disinvolto. Si conoscono durante una cena a casa della sorella di lei e piano piano, dopo un inizio un po’ turbolento, cominciano a coltivare un rapporto di (quasi inconsapevole) aiuto reciproco, il cui pretesto diventa, nell’arco di pochi giorni, la preparazione di una gara di ballo. Ma Pat, nonostante un decreto ingiuntivo gli impedisca di vederla, è ancora innamorato della moglie…
Silver linings playbook non è un capolavoro (e quali commedie, d’altronde, lo sono, a parte quelle di Woody Allen, di Billy Wilder e di pochissimi altri eletti?), ma è uno di quei film capaci di farti sorridere in modo intelligente, di farti commuovere in maniera non spudoratamente patetica, di farti venire gli occhi a forma di cuore perché stai assistendo allo spettacolo più bello del mondo: quello di due persone che si conoscono e – lentamente, faticosamente, con tutte le complicazioni narrative del caso – si innamorano.
Tutto qui. Può sembrare poco, ma non lo è affatto. Specialmente se a ciò si aggiunge una coppia di protagonisti ottimamente assortita (Bradley Cooper, al suo primo ruolo di un certo spessore, e la splendida Jennifer Lawrence, premiata con l’Oscar. Ma c’è anche Robert De Niro nel suo ormai consueto ruolo gigionesco di sessantenne rompipalle e un po’ rincoglionito), una bella colonna sonora (Bob Dylan con Johnny Cash, Led Zeppelin, musiche originali di Danny Elfman) e un discorso per niente banale sul tema della “normalità” in una società che sembra più che altro composta da tante anormalità contrapposte, dove a risultare accettabili sono soltanto quelle che non danno troppo fastidio, che non fanno troppo rumore (scommettere tutti i propri risparmi su una partita di football è meno grave di una sana scazzottata con l’amante di tua moglie? Evidentemente sì, almeno per la legge e per molti benpensanti).
Diretto da David O. Russell (The fighter), Silver linings playbook sta più o meno dalle parti di Little Miss Sunshine, di (500) giorni insieme, di Sideways e di tutte quelle altre (rare) commedie americane capaci di essere, semplicemente, ciò che sono, ma di esserlo nel modo giusto.
Alberto Gallo
(Vezzi d’autore: come in The fighter, anche nel Lato positivo è presente una scena drammatica giocata sulle note di una canzone dei Led Zeppelin – là Good times bad times, qua What is and what should never be. Sarei curioso di sapere se questa singolare abitudine è presente anche negli altri film di Russell, che non ho visto…)