Jonathan Franzen parla a un pubblico di italiani mediamente irrispettosi, grettamente maleducati, e marcatamente fasulli nella loro pretesa di rappresentare il ceto cerebrale della nazione. Dalla platea dell’auditorium un minuto prima si sono levate grida di insulti rivolte ad Alessandro Piperno. Lo scrittore romano, stasera nelle vesti dell’intervistatore, è stato colpevole di essersi dilungato nella formulazione della prima domanda all’ospite d’onore della serata. Una delle prime leggi dello spettacolo dice che il pubblico ha sempre ragione e non si deve mai annoiare. Il fatto è che non mi trovo a mio agio sotto il dominio delle leggi dello spettacolo. E nemmeno il buon Piperno, a giudicare dall’espressione sconcertata che fa. Io sono in piedi in fondo alla sala, accanto agli operatori delle Tv, sono un’ombra che guarda e pensa. Freedom, l’ultimo lavoro di Franzen, l’ho lasciato sul comodino. È una lettura che trovo esaltante, una di quelle in cui impari a conoscere intimamente i personaggi al punto da diventarne amico per la pelle. Ma stasera mi guardo intorno e vedo lo stesso libro che passa attraverso molte mani, quel volume con la copertina enigmatica che raffigura la testa di un uccello in primo piano e un lago scintillante circondato da conifere sullo sfondo. Improvvisamente avverto una strana sensazione, è come se mi sentissi defraudato di qualcosa di molto intimo, è come se mi rendessi conto solo adesso che quella storia in cui mi sento immerso fino alla cima dei capelli appartiene in realtà a milioni di lettori in tutto il mondo. Insomma, quei personaggi così vividi nella mia immaginazione non mi hanno concesso in via esclusiva la loro amicizia. Lo hanno fatto con tanta di quella gente da farmi sentire come l’amante più tradito della storia. E questo semplice fatto evoca in me una terribile minaccia alla quale cerco di non pensare. Mi concentro allora sulla figura dell’autore, un autentico istrione americano capace di strizzare continuamente l’occhio al pubblico, di farselo amico, anche assumendosi il rischio di prendersi gioco di problemi più vasti dell’occidente, come la recente risoluzione ONU sull’intervento militare in Libia. Alla fine della serata mi rendo conto che uno come Franzen è molto meglio leggerlo che ascoltarlo durante un incontro pubblico. Allora esco dalla sala e mi lascio inghiottire da questa prima notte di primavera che ricopre Roma. Rientro a casa, impugno la mia copia di Freedom e torno a sprofondare nella storia dei Berglund. Che non è solo mia. Non può essere solo mia. Stasera ho fatto una scoperta. Il lettore è l’essere al mondo più autoritario e repressivo, il più egoista, egocentrico e accentratore.
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Il lettore è l’essere al mondo più autoritario e repressivo (Note da un incontro di Franzen col pubblico romano)
Creato il 22 marzo 2011 da AndreapomellaPossono interessarti anche questi articoli :
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