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Il libro è qualcosa di differente

Da Marcofre

Si legge di tutto in questi tempi, vero? Succede sempre quando si vivono cambiamenti e questi entrano come una locomotiva lanciata a pieno vapore nella nostra vita. Tutto nasce da un’intervista a Seth Godin, ripresa dalla versione online del quotidiano La Stampa.
In sostanza, si afferma che gli scrittori non possono essere pagati per i loro libri. Occorre inventarsi qualcosa di nuovo.

Non è proprio uno sprovveduto Godin, anzi. Però sono sorpreso da un’affermazione che mi lascia perplesso assai. Comincio da una domanda idiota: chi in Italia riesce a campare di quello che scrive?
A parte gli scrittori che finiscono nella lista dei 10 più venduti, buona parte degli altri, spesso di notevole caratura, svolgono un altro lavoro.

Ma non è di questo che desidero scrivere in realtà. Perché l’affermazione di Godin, tradisce un’idea di libro che non è affatto nuova, secondo me. Ma vecchia. È la medesima di tanti editori che in questi anni ci hanno infestato di libri scritti da chiunque. Non dai più bravi, o con maggior talento. Ma hanno fornito editor e uffici stampa a comici, calciatori, attrici… tanto portano in libreria nuovi lettori.
La previsione non si è avverata perché come si sa, restiamo un Paese dove i lettori sono pochi, e non aumentano perché qualcuno di famoso scrive.

Parlavo della vecchia idea che unisce gli editori e Godin. Quella che il libro sia un prodotto. Se è questo il “comandamento” a cui si deve obbedire, allora va bene tutto. Diventa ovvio che attrici, comici e cantanti scrivano.

Un giorno qualcuno in una casa editrice li contatta, chiede: “Ti va di scrivere un libro?” E se costui o costei risponde che a scuola in italiano non aveva buoni voti, nessun problema. Mai visti all’opera un paio di editor? Fanno miracoli.

Se il libro è qualcosa di un poco differente, diciamo un bene, la faccenda cambia. Perché se è vero che tutti pubblicheranno (e già lo fanno), allora il pubblico indirizzerà la sua attenzione a chi potrà forse consigliarlo. Blogger? Case editrici che faranno un uso intelligente della Rete e delle sue dinamiche? Passaparola? Certo.

Quello che mi preme affermare è che il ruolo della casa editrice non sparirà affatto, ma anzi sarà rivalutato (purché ci sia volontà e intelligenza al suo interno). Quelle grandi potranno continuare a sfornare qualunque libro, quelle serie e medio-piccole faranno ancora più attenzione alla qualità. Siccome al loro interno ci lavoreranno sempre delle persone portatrici sane di alcune seccature quali “pagamento bollette, baby-sitter, conto del macellaio” mi pare comprensibile che vogliano guadagnarci. E che parte di questo guadagno finisca nelle povere tasche dell’autore, non mi pare una follia.

O davvero vogliamo credere che il futuro ci riserva una folle abnorme di autori e le case editrici ridotte a retaggio del passato, e abolite?
I lettori non lo sanno, non ne sono consapevoli: ma vogliono le case editrici. Se con esse si stabilisce (o ristabilisce) una relazione basata sulla fiducia, saranno ben lieti di comprare i loro libri. E non ci troveranno nulla di male se il povero autore avrà qualche euro da spendere in gazzosa e una fetta di torta Sacher.

Come? Sto dando ragione a Seth Godin? Non credo affatto. Ho spiegato che la sua visione, secondo me, è di chi ha voltato le spalle agli editori e fa da sé con successo. Tutti gli altri, con un talento narrativo di dimensioni ciclopiche, non intraprenderanno mai una strada del genere. Non perché snob: ma perché già sono impegnati a fare due, tre lavori, oltre a mandare avanti quella seccatura chiamata famiglia. O vita che dir si voglia.

Oppure vogliamo raccontarci che il mestiere dello scrittore sarà d’ora in poi riservato a chi ha tempo da dedicare a costruire il suo brand online? Perciò gente come Raymond Carver sarebbe tagliata fuori: con due figli, il lavoro da fare, l’alcol e le storie da scrivere, come diavolo riuscirebbe a seguire l’evoluzione del suo nome sul Web?
Forse ci riuscirebbe Flannery O’Connor. Tolstoj pure ce la farebbe: essere nobile ha i suoi vantaggi. Ma Charles Bukowski?

La Rete ha un potenziale enorme; però richiede tempo e studio. È bene saperne abbastanza, meglio ancora saperne tanto: ma occorre essere realistici e riconoscere che molti scrittori di qualità NON hanno il tempo per dedicarvisi. E a costoro, nessuna persona sana di mente potrà mai dire: “Eh, i tempi sono cambiati, dovete rassegnarvi a guadagnare non coi libri, ma con altro”.

Già guadagnano con altro. E se consideriamo l’imprevedibilità del libro, o meglio del pubblico (che si raduna all’improvviso attorno a certi titoli senza che nessuno sia riuscito a prevederlo), è follia pura dichiarare: “Embè? Segui la tua passione e buttati!”
Sarebbe un discorso ridicolo.


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