“Per molti versi è vero, che il Messico è unico e irripetibile. Ma la realtà odierna dimostra purtroppo che il Paese è anche schizofrenicamente sdoppiato: esistono due Messico. Perché qualsiasi viaggiatore, viandante o lieto turista affascinato dalla sua incommensurabile bellezza può tranquillamente attraversarne migliaia di chilometri senza mai percepire un clima di violenza sanguinaria. Eppure… esiste anche l’altro Messico, quello che Fabrizio Lorusso sviscera nei suoi reportage, nei suoi approfondimenti giornalistici, nei racconti di vita quotidiana”
Pino Cacucci dalla prefazione.
Dal settembre 2014, 43 studenti della scuola normale di Iguala risultano desaparecidos. Da quando al governo c’è Enrique Peña Nieto, nello stato del Guerrero sono state trovate almeno 246 fosse comuni. “Desaparecido vuol dire che uno o più apparati dello stato, conniventi con bande criminali o gruppi paramilitari, per omissione o per partecipazione attiva, sono coinvolti nel sequestro di persone e nella loro eliminazione” spiega nel volume Fabrizio Lorusso, insegnante italiano che vive in Messico da tredici anni e collabora con numerose testate italiane. Gli studenti che provenivano da una scuola a 120 km da Iguala, avevano la sola colpa di far parte dei movimenti di protesta studenteschi in una zona in cui l’istruzione dei figli dei contadini (la normale di Iguala è una scuola pubblica) è vista come fumo negli occhi da parte dei cartelli dei trafficanti.
Questa una tessera del complesso mosaico dell’attuale situazione in Messico: la cocaina triplo zero (quella trattata da Saviano nel suo ultimo libro) è la farina con cui è impastato il Paese, ma anche i laboratori di meth (la droga di Breaking Bad) stanno spuntando come funghi. Felipe Calderón, presidente conservatore del partito PAN (predecessore di Peña Nieto) nel dicembre 2006 dichiarò guerra al narcotraffico. Da allora a oggi la narcoguerra ha prodotto una cifra stimabile intorno ai centomila morti.
Lorusso, che non ha paura di denunciare una situazione aberrante, decide di raccontare e spiegare i lati oscuri di un’offensiva reiterata e fallimentare, che non scalfisce realmente gli assetti di potere. Da un lato il governo aumenta i militari impiegati nella narcoguerra, in collaborazione con gli statunitensi, dall’altro il governo messicano è totalmente colluso con i cartelli. La stessa Drug Enforcement Administration, non scevra da infiltrazioni e corruzione, è consapevole del peso che gli ingenti narco-capitali hanno proprio sull’economia statunitense (dove le banche spesso ripuliscono i proventi dei cartelli). Le motivazioni sono semplici: il traffico di cocaina verso gli Stati Uniti (e verso tutto il mondo) produce il 40% della ricchezza del Paese per un giro d’affari che fa del Messico il più grosso mercato all’ingrosso di droghe a livello globale.
Partire dal presupposto che il problema vada risolto alla fonte e cioè dal lato della produzione e dello smercio sta peggiorando la situazione e le politiche di riduzione del danno, prevenzione e ipotesi di legalizzazione non sono mai state prese in seria considerazione. Se si conta che i giornalisti liberi stanno morendo come mosche (88 dall’inizio dell’ultima narcoguerra), si capisce come l’arresto di un latitante sia spacciabile come vittoria definitiva. In realtà l’idra a nove teste del cartello di Sinaloa, il più potente all’attuale, non ha patito l’arresto – effettuato senza sparare un colpo – del capo dei capi, Joaquín “El Chapo” Guzmán, originario della Corleone Messicana, la famigerata Badiraguato.
Unica soluzione per la popolazione è rimboccarsi le maniche e creare associazioni e vere e proprie milizie perché Jorge Ibargüengoitia, nei suoi articoli raccolti nel libro Instrucciones para vivir en México (Istruzioni per vivere in Messico), già affermava: «In caso ci siano problemi, non chiamare la polizia, per non avere un altro problema».
Lorusso si addentra anche nella descrizione della parte sana del Messico e quindi dei movimenti di protesta, per citarne alcuni: il famoso EZLN, l’Assemblea popolare della municipalità libera di Oaxaca, il combattivo sindacato degli insegnati e non ultimo le famiglie delle donne oggetto di femminicidio a Ciudad Juarez (dove 700 persone di sesso femminile sono morte in una decina d’anni) e degli studenti di Iguala…
Un libro composito, coinvolgente, completo e di taglio giornalistico: la storia recente e l’attualità del Messico vengono finalmente svelate. Sono storie che ci riguardano, perché la droga e le mafie sono fatti globali e non locali.
Fabrizio Lorusso è giornalista free-lance, traduttore e professore di storia e politica dell’America Latina alle università UNAM e Iberoamericana di Città del Messico, dove vive da 13 anni. Ha pubblicato i saggi-reportage: La Fame di haiti (END, 2015 con Romina Vinci) e Santa Muerte. Patrona dell’Umanità (Stampa Alternativa, 2013), i racconti per le colettanee: Nessuna più. 40 scrittori contro il femminicido (Elliot, 2013), Re/search Milano. Mappa di una città a pezzi (Agenzia X, 2015), Pan del Alma (G. Corica, 2014) e Sorci Verdi. Storie di ordinario leghismo (Alegre, 2011). Collabora con vari media tra cui l’inserto Semanal del quotidiano La Jornada, la rivista messicana Variopinto, Il Reportage e Radio Popolare. E’ blogger di Huffington Post e redattore della web-zine Carmilla.
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