In principio era il verbo, poi arrivò “scialla”. Una lingua nasce, cambia, si rinnova. E lo fa anche (o soprattutto) grazie ai neologismi inventati dai giovani o portati nel linguaggio comune dai grandi cambiamenti, come quello innescato da Internet.
(lanazione.it)
Perché nascono i neologismi? “Il motivo più semplice è: perché servono”. Non ha dubbi Vera Gheno, Twitter manager e collaboratrice dell’Accademia della Crusca, che all’Adnkronos dice: “Abbiamo un nuovo significato, come dice il linguista svizzero Saussure, ovvero un concetto, una cosa, un oggetto, qualcosa insomma che prima non c’era e che quindi ha bisogno di un nome, ovvero, per dirla sempre alla Saussure, un significante. Si possono creare parole nuove per gioco – prosegue – per voglia di fare esperimenti con la lingua. Non a caso i linguaggi giovanili e i linguaggi telematici, particolarmente ‘giocosi’, sono terreno fertile per la creazione di neologismi”. Sono infatti loro, i ragazzi, che continuano ad usare la gran parte di espressioni “in codice” per capirsi senza troppe giri di parole.
Una vera e propria “Slangopedia”, come la chiama Maria Simonetti nel suo “Dizionario dei gerghi giovanili” edito da Stampa Alternativa. Nel libro, sul versante delle parole mutuate dagli animali, ci sono tra le altre “mi cangura” (per indicare che una questione “non mi riguarda”) e “inscimmiarsi” (per chi si concentra su una sola cosa e la ripete in modo ossessivo). E, ancora, chiamare “limone” chi si circonda di “cozze” (le ragazze non belle), “rimastino” chi alle feste non balla, “rimastone” l’over 40 che si veste e si comporta da giovane (ma il giovane dei suoi tempi) oppure “sdraiona” per una ragazza molto emancipata e “dentiera” per riferirsi alla prof o – in senso lato e un po’ perfido – agli anziani. A questi si accompagnano i più storici “trescare” (avere un flirt), “camomillarsi” (calmarsi), “tranqua” (tranquillo), “sbalconato” (essere fuori di testa), “incicognarsi” (restare incinta) e “citofonarsi” (chiamare qualcuno per cognome).
Tutte queste espressioni come si diffondono? “In generale – aggiunge Vera Gheno – un neologismo inizia a circolare se è utile, o se piace, oppure se viene usato da qualcuno che ammiriamo: oggi si potrebbe parlare di ‘influencer’, ovvero personaggi che in qualche modo sono in grado di influenzare i gusti delle persone. Sicuramente, un neologismo può venire veicolato da un film, da un libro o da un social network, ma contano moltissimo le persone, in questo processo”.
Dalle persone al web, il passo è breve. Non si può negare che anche Internet abbia cambiato il modo di comunicare, non solo nella realtà di quali modi vengono usati per “parlare” (applicazioni, chat, social network) ma anche nelle espressioni mutuate dal mondo dell’online. Del resto, se dieci anni fa qualcuno avesse detto ”mi whatsappi la foto che hai twittato così la posto su Facebook?”, molti – forse chi era over ‘una certa età’ – avrebbero alzato un sopracciglio perplessi. Oggi, probabilmente, no.
Tanto che del linguaggio mutuato dal mondo dell’Information and Communication Technology e da quello dell’informatica fanno parte anche parole come bannare (bloccare l’accesso, escludere), loggarsi (effettuare un accesso), cliccare (parola onomatopeica per indicare di premere un pulsante), crackare (aggirare le protezioni di un programma), scrollare (scorrere la rotella del mouse per leggere una pagina sul web) o zippare (comprimere file in una cartella per occupare meno spazio). (ADNKRONOS)